La datata questione circa la natura dell’indennità liquidata dal Giudice Tutelare a favore di un amministratore di sostegno, che riveste al contempo la qualifica di avvocato, non sembra aver ancora trovato una risoluzione pacifica e uniformemente accettata.
Un caso giurisprudenziale particolarmente recente e dalle conseguenze potenzialmente esplosive ha, infatti, riaperto la suddetta questione che vede collocate su posizioni contrapposte Agenzia delle Entrate e Giurisprudenza.
In particolare, mentre la prima si è schierata a favore dell’interpretazione in base alla quale la somma ricevuta a titolo di equa indennità costituirebbe compenso per mansioni proprie di un professionista e, come tale, soggetta alla relativa tassazione (IRPEF; IVA; C.P.A); la seconda ha espressamente escluso la doverosità di tale adempimento fiscale.
Dal punto di vista normativo, l’articolo da prendere in considerazione ed oggetto di interpretazioni discordanti, è il 379 c.c. relativo alla gratuità dell’ufficio del tutore, in quanto richiamato espressamente dall’art. 411 del codice civile.
Esso sancisce che: “L’ufficio tutelare è gratuito. Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità, da una o più persone stipendiate”.
Volendo procedere per fasi ad un’analisi cronologica della vicenda, va innanzitutto sottolineato che la questione relativa alla natura dell’equa indennità, già nel 1988, è stata oggetto di discussione innanzi alla Corte Costituzionale.
Con l’ordinanza n. 1073, il Giudice delle Leggi ha infatti chiarito che ” l’equa indennità non ha natura retributiva, ma serve a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio”.
Non solo, va rilevato anche che, con la sentenza n.7355 del 1991, la Suprema Corte di Cassazione ha ribadito che il concetto di indennità di cui all’art 379 non va confuso con quello di corrispettivo, ma può essere equiparato a quello di “ristoro” anche se esso dovrà certamente essere “apprezzabile e non meramente simbolico”.
Quanto, invece, alla posizione dell’Agenzia delle Entrate, deve essere richiamata la Risoluzione n. 2/E, datata 9 gennaio del 2012, emessa dalla Direzione Centrale normativa dell’Agenzia delle Entrate.
Interpellata in merito, quest’ultima, ha motivato il suo ragionamento richiamando, in correlazione con l’art. 379, l’art. 408 del codice civile.
Al primo comma esso sancisce che: “la scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata”, ed al quarto che: “Il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di amministratore di sostegno anche altra persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II (persone giuridiche) al cui legale rappresentante ovvero alla persona che questi ha facoltà di delegare con atto depositato presso l’ufficio del giudice tutelare, competono tutti i doveri e tutte le facoltà previste nel presente capo”.
Sulla base del dettato normativo, il giudice tutelare ha un’ampia discrezionalità nella scelta dell’amministratore di sostegno più adatto alla cura e agli interessi del beneficiario e, pertanto, ha la facoltà di scegliere sia un familiare, che un convivente, che un conoscente, che infine un professionista.
Qualora dovesse risultare opportuna la nomina proprio di quest’ultima figura in relazione alle circostanze del caso concreto, la relativa attività non sarebbe inquadrabile nella disciplina dell’amministrazione di sostegno, ma esclusivamente in quella relativa alla regolamentazione della professione forense.
Nella Risoluzione si legge infatti che:” si ritiene che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria [..], un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633″.
Nonostante la posizione dell’Agenzia delle Entrate, l’impostazione della Giurisprudenza è rimasta conforme all’interpretazione (già illustrata) della Corte Costituzionale del 1988 (es. Trib. Di Varese- Dottor Buffone; Trib. Di Trieste- Dottor Picciotto).
Ne è vivo esempio la sentenza emanata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste n. 283 del 2014.
Nel caso che ha dato luogo a tale sentenza, un Avvocato nominato amministratore di sostegno, a favore del quale il G.T. ha assegnato una somma a titolo di equa indennità pari a € 1.000,00, ha emesso fattura in conformità con la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 2012, assoggettando la predetta somma ad IVA ed IRPEF per un importo pari ad € 173,55 .
Pochi mesi dopo, presumibilmente avendo preso atto dell’impostazione della Giurisprudenza in tal senso, ha presentato istanza di rimborso per l’importo relativo all’IVA.
Essendo passati novanta giorni da tale richiesta senza aver ottenuto risposta ed essendosi così integrata una fattispecie di silenzio- rifiuto, il predetto Avvocato ha proposto ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, facendo oltre tutto presente che la somma liquidata era stata corrisposta, non per esercizio di attività professionale, ma per l’attività inerente ai doveri propri di un amministratore di sostegno.
Chiamata dunque a rispondere, la Commissione ha statuito che: “il riferimento alla gratuità dell’ufficio fa ritenere che l’indennità erogata non debba essere assoggettata a tassazione (diretta o indiretta) poiché non avente natura remunerativa e non erogata in sostituzione di altra categoria di redditi, come richiesto dall’art. 6, c. 2 del T.U.I.R”.
Si legge inoltre che la finalità cui sopperisce l’equa indennità ex. art 379 c.c. è quella di “tenere indenne il destinatario dalle perdite patrimoniali subite in conseguenza allo svolgimento dell’incarico e mira a risarcire l’incaricato per la sua distrazione dalle occupazioni quotidiane a prescindere a prescindere che si tratti di occupazioni remunerate a titolo di lavoro dipendente o ad altro titolo”.
Estremamente significativo anche il passaggio in cui la Commissione esplica il ragionamento in base al quale “l’indennità non perde la sua natura indifferentemente dal soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente ovvero un professionista”.
Ciò a condizione, ovviamente, che “non vengano attribuiti compiti specificatamente tipici della professione di appartenenza dell’amministratore di sostegno, rappresentando prestazioni professionali e come tali liquidati nel rispetto della legge” e da assoggettare alla corretta tassazione.
In base a tali argomentazioni ed avendo accertato che l’attività svolta dall’istante fosse stata esclusivamente di monitoraggio ed assistenza nei confronti del suo beneficiario, la Commissione ha concluso che l’indennità liquidata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Trieste non fosse inquadrabile in una forma di retribuzione ed ha quindi condannato l’Agenzia delle Entrate al rimborso della somma richiesta a titolo di IVA.
Appare evidente che una sentenza come questa potrebbe aprire la via ad una lunga sequela di reclami presentati da tutti i professionisti che, volendo evitare eventuali future sanzioni fiscali, si sono conformati fino ad oggi al parere dell’Agenzia delle Entrate ed hanno emesso fattura in relazione alle loro indennità.
Sicché si comprende l’affermazione della fase iniziale di questa elaborazione, nella quale si è sottolineato il valore potenzialmente esplosivo del caso di specie: a parere di chi scrive la relativa pericolosità della situazione potrebbe essere sanata in via definitiva esclusivamente con un intervento legislativo, che vi ponga rimedio, quanto meno per il futuro.