Con la sentenza n. 7974/ 2015 la Suprema Corte di Cassazione, V Sezione Penale, ha chiarito quali siano i limiti che circoscrivono l’assunzione di una posizione di garanzia da parte dell’Amministratore di sostegno nei confronti del proprio beneficiario.
Il caso.
All’avv. G.B. veniva imputato il reato di cui all’art 591 c.p. per aver egli asseritamente abbandonato la sua beneficiaria di amministrazione di sostegno, omettendo di accudirla per il fine settimana, sino all’intervento del personale sanitario e dei vigili del fuoco che la trovavano in stato di forte disorientamento spazio temporale, disidratata ed in pessime condizioni igieniche.
Assolto dal reato di abbandono di incapace con sentenza di non doversi procedere da parte del GUP presso il Tribunale di Gorizia, l’ avvocato ricorreva innanzi alla Corte di Cassazione al fine di chiedere l’assoluzione mediante altra formula di proscioglimento, ossia perché il fatto non sussiste.
In particolare, mentre il GUP aveva ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato, accertando al contempo la non punibilità dell’avvocato per insussistenza in capo a quest’ultimo dell’elemento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice (dolo generico), il ricorrente adiva la Suprema Corte affinché fosse dato atto anche dell’insussistenza dell’elemento oggettivo, poiché non vi era stata alcuna omissione del dovere giuridico di custodia e cura.
Notava all’uopo l’A.d.S che:
– a seguito di un approfondito esame delle condizioni sociali, economiche e di salute della beneficiaria, l’Unità di Valutazione Distrettuale (UVD) aveva escluso la necessità del ricovero della stessa presso una struttura protetta;
– che in ogni caso il ricovero non sarebbe stato sostenibile mediante le risorse economiche dell’anziana;
– in conformità ai doveri ex art 410 c.p., appresa la forte volontà della beneficiaria di rimanere collocata presso la propria abitazione, aveva ritenuto idoneo affiancarle un’assistente domestica (nei limiti del budget disponibile), considerando altresì che l’anziana veniva seguita regolarmente dal figlio.
Esponeva infine il ricorrente che il giorno in cui si era verificato l’evento di cui ai fatti di causa, la Beneficiaria, giudicata dai sanitari esclusivamente quale “caso sociale” ma non “sanitario”, lo aveva rassicurato più volte che il figlio sarebbe arrivato a breve per accudirla.
La sentenza.
L’esame circa la meritevolezza delle censure avanzate dall’avvocato in oggetto presuppone la verifica della sussistenza o meno, in capo all’amministratore di sostegno, di una posizione di garanzia; posizione che implica a sua volta l’obbligo giuridico di impedire la situazione di pericolo a danno del soggetto incapace di provvedere autonomamente ai propri interessi.
Trattandosi di un reato omissivo proprio, non potrà che venire in considerazione la clausola di equivalenza ex art 40, c. 2 c.p. ai sensi del quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
A riguardo la Corte ha più volte affermato come “nell’accertamento degli obblighi impeditivi incombenti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte da cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo”. Quanto all’art 591 c.p., parimenti, nessun limite si pone nella individuazione delle fonti da cui derivano gli obblighi di custodia e di assistenza che realizzano la protezione di quel bene: rilevando a tale scopo norme giuridiche di qualsivoglia natura, convenzioni di natura pubblica o privata, regolamenti o legittimi ordini di servizio, rivolti alla tutela della persona umana, in ogni condizione ed in ogni segmento del percorso che va dalla nascita alla morte”
Ecco dunque che, secondo l’opinione della Corte, la sussistenza o meno di una responsabilità penale in capo all’amministratore, nei termini di cui in narrativa, non potrà prescindere da una valutazione circa i doveri conferitigli dal Giudice Tutelare mediante decreto di nomina, costituendo tale decreto la fonte degli obblighi giuridici da lui assunti mediante giuramento.
Nell’opinione della Corte di legittimità, posto che dalla disciplina codicistica (ex artt. 410 e 411 c.c.) discenderebbero esclusivamente “un dovere di relazionare periodicamente sull’attività svolta e sulle condizioni di vita personale e sociale del beneficiario, il compito dell’amministratore di sostegno resterebbe fondamentalmente quello di assistere la persona nella gestione dei propri interessi patrimoniali e non anche la “cura della persona”, poiché l’art. 357 cod. civ., che indica tale funzione a proposito del tutore, non rientra tra le disposizioni richiamate dall’art. 411 tra le “norme applicabili all’amministrazione di sostegno”.
Date queste premesse, l’assunzione della posizione di garanzia da parte dell’AdS dipenderebbe esclusivamente dalle previsioni specifiche del decreto di nomina, che essendo modellato sulle necessità del beneficiario, individua poteri ed obblighi del singolo amministratore, attribuendo lui una rappresentanza esclusiva piuttosto che un’assistenza necessaria. Sicché, in assenza di specifiche disposizioni in esso contenute, “l’amministratore di sostegno non assume una posizione di garanzia rispetto ai beni della vita e dell’incolumità individuale del soggetto incapace”.
La S.C. ha pertanto concluso che “In mancanza di qualsiasi richiamo al decreto del giudice tutelare, deve escludersi la posizione di garanzia del B. rispetto alla signora, la quale, d’altra parte, era materialmente assistita dal figlio e da una badante”.
Considerazioni.
La sentenza oggetto di trattazione, per quanto apprezzabile in relazione al caso di specie, appare foriera di preoccupanti implicazioni ove la massima da essa evincibile trovi un’applicazione acritica.
A parere di chi scrive, infatti, un’interpretazione sistematica condurrebbe a negare che le disposizioni del codice civile presuppongano un dovere di cura della persona del beneficiario, in favore di un mero compito gestionale ed amministrativo.
Chiaro infatti che proprio le disposizioni del codice civile sull’istituto dell’AdS (art. 408 c.c. “la scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona del beneficiario”; art 410 c.c. “nello svolgimento dei suoi compiti l’ AdS deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”) presuppongono un continuo monitoraggio dei bisogni e degli interessi del beneficiario, con la conseguenza che i poteri conferiti all’amministratore non possono essere limitati ad una sterile classificazione effettuata sulla base delle statuizioni del decreto di nomina.
Ciò trova altresì conferma nell’obbligo giuridico dell’AdS di tempestiva informazione al Giudice Tutelare circa il mutamento delle circostanze sussistenti al momento della nomina, ovvero circa eventuali contrasti o incomprensioni con il beneficiario.
A ben vedere sarebbe infatti paradossale non far rientrare nel concetto di “bisogno” ai sensi delle disposizioni su richiamate il fondamentale interesse alla salute del beneficiario, che viceversa dovrebbe essere sempre monitorato.
D’altra parte, come noto, i poteri conferiti mediante decreto di nomina all’AdS trovano spesso nella prassi interpretazioni estensive, espandendosi e modellandosi al caso specifico, salvo poi ratifica degli atti compiuti da parte del Giudice Tutelare in sede di approvazione della relazione e del rendiconto periodico.
Vero è che i doveri dell’amministratore non potranno spingersi sino ad una vigilanza continuativa del beneficiario, ma si ritiene quanto meno d’obbligo:
– predisporre, al momento dell’assunzione dell’incarico, una corretta valutazione delle condizioni economiche, personali e di salute del beneficiario, mediante l’effettuazione di una UVD, in modo da avere a disposizione tutti gli strumenti utili per valutare le specifiche esigenze, anche di tipo sanitario, del beneficiario;
– azionare di conseguenza ogni possibile soluzione assistenziale di rete a suo favore, naturalmente sulla base dei limiti delle risorse economiche a disposizione;
– segnalare con tempestività a chi di competenza le ipotetiche situazioni di pericolo, qualora naturalmente siano ragionevolmente ipotizzabili;
– assicurare un monitoraggio continuativo e periodico del beneficiario, al fine di verificare eventuali mutamenti da segnalare.
Concludendo, per la sussistenza del reato di abbandono di incapace ex 591 c.p. occorrerà verificare, quanto alla condotta materiale del reato, che al di là di quanto letteralmente statuito dal decreto di nomina, l’amministratore si sia di fatto azionato, adempiendo ai compiti di valutazione e monitoraggio desumibili da un’interpretazione sistematica delle disposizioni del codice civile; mentre dal punto di vista dell’elemento soggettivo, sarà necessario accertare che l’amministratore non fosse stato a conoscenza di eventuali situazioni di pericolo, ovvero di carenze nell’assistenza sanitaria del beneficiario.
Avv. Matteo Morgia
in collaborazione con la dott.ssa Cristina Catano