Nato ad Avellino il 3 febbraio 1965, svolge la professione di avvocato-amministratore di sostegno a Modena.
E’ stato il primo amministratore di sostegno nominato nel 2004 a Modena dal compianto Giudice Tutelare dr. Guido Stanzani; da allora lo ha sempre affiancato nell’intensa stagione che ha portato Modena ad essere tra i più importanti centri propulsori del nuovo istituto.
Ha pubblicato vari articoli sull’amministrazione di sostegno e partecipato come relatore a diversi convegni e corsi di formazione in tutta Italia.
Ha collaborato alla redazione della Guida alla Volontaria Giurisdizione a cura di Roberto Masoni e al Commentario al Codice di Procedura civile diretto da Paolo Cendon.
QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO – (disponibile dal 15.4.2014)
La legge usa il termine “dissenso” solamente nell’art. 410 c.c., quando, parlando dei doveri dell’amministratore di sostegno, dispone che questi deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il primo.
Quella del dissenso del beneficiario è, tuttavia, un’eventualità che può verificarsi già nel momento iniziale della procedura, se il beneficiario si oppone o comunque esprime contrarietà all’attivazione della misura di protezione, come pure presentarsi durante la gestione vicariale.
Il giudice tutelare di Trieste nel 2005, a fronte del forte rifiuto dell’amministranda ad avvalersi di qualsiasi aiuto esterno e la sua acerba diffidenza, derivante dalle sue infermità, confeziona per la beneficiaria un sostegno da prestare inizialmente a sua insaputa, esonerando temporaneamente l’amministratore dall’obbligo di informare la beneficiaria dell’attività svolta (Tribunale di Trieste, 28 ottobre 2005).
Nello stesso periodo il giudice tutelare di Modena, nomina ad un settantacinquenne cardiopatico e psichicamente indebolito dall’età avanzata un amministratore di sostegno con poteri di assistenza nella riscossione della pensione mensile e nella cura della sua salute. Ma il beneficiario rifiuta, in maniera veemente, tanto da far temere per la sua salute, qualsiasi intromissione dell’amministratore di sostegno nelle attività di riscossione della pensione e di gestione del denaro.
A fronte di tale situazione, il giudice tutelare ritiene allora opportuno tentare un processo operativo che escluda, allo stato, l’assunzione di provvedimenti drastici (come la revoca della misura protettiva o l’attribuzione all’amministratore di poteri sostitutivi) dalle prevedibili conseguenze negative per l’interessato sia sul piano psicologico che su quello della salute fisica.
La soluzione viene individuata nella temporanea sospensione, per il periodo di 60 giorni, dei poteri assistenziali dell’amministratore relativi alla riscossione ed utilizzo della pensione, finalizzata all’auspicato risultato (restando l’amministratore di sostegno operante per tutti i compiti già demandati per la cura della persona e la tutela della sua salute) che la frequentazione da parte dell’amministratore del beneficiario e l’approfondimento della reciproca conoscenza conducano, nel frattempo, all’instaurazione di rapporti di familiarità e confidenza che consentano, a loro volta, il consolidamento di fiducia nella figura, nei consigli, nell’operato e nelle iniziative dell’amministratore stesso
Il tentativo non ha gli effetti sperati, e allora il giudice tutelare, permanendo invalicabili resistenze del beneficiario, decide non la revoca dell’amministrazione ma solamente la sospensione a tempo indeterminato dei poteri assistenziali dell’amministratore di sostegno riguardanti gli aspetti economico-patrimoniali del beneficiario (Trib. Modena, 30 novembre 2005, in www.giurisprudenzamodenese.it)
In un altro caso, sempre il giudice tutelare di Modena, rilevato, in sede di audizione, che la persona si opponeva fermamente alla nomina dell’amministratore di sostegno richiesta dai Servizi Sociali, vista la gravità della situazione e in ossequio ai dettami della Cassazione 29 novembre 2006, n. 25366, ha invitato sia l’amministrando che il Servizio ricorrente a costituirsi in giudizio con un difensore (Trib. Modena, 29 marzo 2007, in www.giurisprudenzamodenese.it).
La questione del dissenso è stato affrontata per la prima volta dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza 19 gennaio 2007, n. 4.
L’occasione trae origine dalla questione di legittimità degli artt. 407 e 410 c.c. in relazione agli artt. 2 e 3 Cost., sollevata dal Tribunale di Venezia – Sezione distaccata di Chioggia, nella parte in cui non subordinano al consenso dell’interessato l’attivazione della misura dell’amministrazione di sostegno ed il compimento dei singoli atti gestionali, o comunque non attribuiscono efficacia paralizzante al suo dissenso in ordine a tale attivazione e al compimento di tali atti.
La Corte ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione sul presupposto che il sistema normativo non esclude, anzi attribuisce chiaramente al giudice anche il potere di non procedere alla nomina dell’amministratore di sostegno in presenza del dissenso dell’interessato, ove l’autorità giudiziaria, nell’ambito della discrezionalità riconosciutale dall’art. 407 c.c., ritenga il dissenso giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione.
Il Giudice è, quindi, tenuto a valutare la fondatezza del dissenso al fine di verificare, come opportunamente suggerito dalla Corte, se esso sia giustificato e prevalente su ogni altra diversa considerazione degli interessi e delle esigenze di protezione della persona.
In applicazione di tali principi, il giudice tutelare di Varese, nel 2009, nonostante il forte dissenso del beneficiario, ha comunque dato corso alla nomina dell’amministratore di sostegno, ritenendo prevalenti le esigenze di tutela del beneficiario rispetto al suo dissenso (Tribunale di Varese, 16 novembre 2009).
Se è vero, quindi, che la volontà dell’amministrando deve essere sempre valorizzata, il mero dissenso manifestato dall’interessato non è vincolante per il giudice e non è ostativo all’istituzione dell’amministrazione di sostegno, soprattutto in quelle situazioni in cui il dissenso si riveli contrario ai suoi interessi.
Sul punto è intervenuta anche la Cassazione, affermando il principio secondo cui la valutazione della congruità e conformità del contenuto dell’amministrazione di sostegno alle specifiche esigenze del beneficiario appartiene all’apprezzamento del giudice di merito, il quale deve tenere conto essenzialmente del tipo di attività che deve essere compiuta per conto dell’interessato, della gravità e durata della malattia o della situazione di bisogno in cui versa l’interessato, nonché di tutte le altre circostanze caratterizzanti la fattispecie. Non costituisce condizione necessaria per l’applicazione di tale misura la circostanza che il beneficiario abbia chiesto o accettato il sostegno ovvero abbia indicato la persona da nominare o i bisogni concreti da soddisfare (Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; Cass. 22 aprile 2009, n. 9628; Cass. 25 ottobre 2012, n. 18320,).
Peraltro, la non imprescindibilità del consenso del beneficiario risulta desumibile anche dalla considerazione che, in caso di dissenso con quest’ultimo, l’amministratore informa il giudice tutelare per l’adozione dei provvedimenti ritenuti necessari” (Cass. civ., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584).
Ni casi più impegnativi, appare comunque opportuno invitare la persona a nominare un proprio difensore e, quando la difficile condizione dell’amministrando e/o la peculiarità del procedimento lo richiedano, nominare, eventualmente, un amministratore di sostegno provvisorio, salvo poi revocarlo.
In tal caso, come abbiamo visto, l’invito a nominare un difensore dovrà essere rivolto non già al solo amministrando, ma anche, nel rispetto del principio del contraddittorio, ai ricorrenti, cioè a coloro che hanno instaurato il procedimento di istituzione dell’amministrazione di sostegno.
Il dissenso del beneficiario può, poi, manifestarsi anche dopo la nomina.
Può capitare che i beneficiari ammettano la loro fragilità fisica e psichica e accettino di buon grado la presenza dell’amministratore ed, anzi, lo considerino il loro angelo custode. Atre volte, invece, si assiste a fermi dinieghi e accesi contrasti sulla necessità della misura di sostegno, qualunque essa sia, e ciò per le più svariate ragioni.
In questi casi, l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice tutelare, affinché, previa convocazione del beneficiario e dell’amministratore, verifichi le cause del dissenso e la loro fondatezza e adotti i provvedimenti ritenuti opportuni, tenuto conto delle esigenze di tutela del beneficiario e dei suoi interessi.
Nel corso dell’amministrazione, inoltre, l’amministratore di sostegno deve, ai sensi dell’art. 410, 2° comma, c.c., informare, tempestivamente, il beneficiario circa gli atti da compiere, nonchè il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso.
Poiché la norma non fa alcun riferimento al grado di capacità intellettiva e volitiva del beneficiario, si è detto che l’amministratore di sostegno è tenuto ad informare il beneficiario, anche nel caso in cui lo stesso risulti fortemente indebolito nelle capacità intellettive, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso.
Si è replicato che, se il beneficiario non è in grado, a motivo delle sue condizioni mentali, di comprendere la necessità od opportunità dell’atto che l’amministratore di sostegno intende compiere, non è necessario informarlo, altrimenti il funzionamento dell’amministrazione rischia di diventare eccessivamente macchinoso.
Vero è che lo stato intellettivo del beneficiario non può essere utilizzato per escludere le sue opinioni e i suoi desideri, per cui il dissenso espresso dal beneficiario, a prescindere dalle sue reali capacità, dovrebbe sempre comportare l’intervento del giudice tutelare.
Come è stato giustamente osservato, la norma testimonia la maggiore sensibilità legislativa nei confronti della dignità della persona ed impone quindi all’amministratore di sostegno di informare il beneficiario circa gli atti da compiere, sicché lo stesso non potrà assumere decisioni unilateralmente bensì attraverso un previo confronto con il beneficiario, cercando, nei limiti del possibile, di assecondarne le aspirazioni, obbligo di informativa tanto più rilevante quanto più il beneficiario sia persona che conserva qualche attitudine a comprendere e valutare l’effetto nella propria sfera giuridica degli atti il cui compimento spetta all’amministratore di sostegno.
L’amministratore deve, quindi, operare attuando un continuo, costante, chiaro e franco confronto con il beneficiario, al fine di individuare e condividere ogni decisione.
In caso di contrasto con il beneficiario circa un atto da compiere, l’amministratore di sostegno deve astenersi dal compierlo ed informare immediatamente il giudice tutelare.
Il giudice tutelare, a sua volta, qualora accerti la sussistenza del contrasto, deve adottare gli opportuni provvedimenti, avuto riguardo alla rispondenza dell’atto all’interesse del beneficiario.
Qualora il rappresentante proceda ugualmente al compimento dell’atto, pur in presenza del dissenso manifestato dal beneficiario, ad avviso della dottrina, sarebbe ipotizzabile una responsabilità dell’amministratore tale da determinare anche la rimozione dall’incarico ai sensi del combinato disposto dall’art. 411, 1° comma, e 384 c.c.
L’atto così compiuto, se conforme ai poteri dell’amministratore, deve comunque ritenersi valido nei confronti dei terzi.
Non può, comunque, negarsi che un contrasto permanente col beneficiario rischia di causare la paralisi dell’attività dell’amministratore di sostegno.
La strada maestra è allora quella di instaurare un costante confronto con il beneficiario, al fine di instaurare un rapporto amichevole, una sorta di alleanza terapeutica, nel rispetto delle dei suoi bisogni e delle sue aspirazioni.
In altri termini, l’amministratore di sostegno non deve porsi come la persona che agisce “al posto di”, “che rappresenta soltanto” il beneficiario, ma come colui che deve agire “con”, “insieme”, all’interessato nelle decisioni importanti e meno importanti della sua vita, ma sempre nel pieno rispetto della sua personalità.
Dieci anni di intensa attività di amministratore di sostegno mi hanno fatto maturare la convinzione che un sapiente, rispettoso e leale approccio col beneficiario porta quasi sempre a rendere un beneficiario recalcitrante in un beneficiario collaborante.
Perché, è bene sottolinearlo, il beneficiario non è un “cliente”, ma, nella maggior parte dei casi, è una persona come noi: svolge un’attività lavorativa, coltiva relazioni personali ed affettive, rapporti sociali, ha bisogni ed aspirazioni.
Allora il legale amministratore di sostegno deve spogliarsi della veste aulica e fredda dell’avvocato e porsi sullo stesso piano del beneficiario, adattarsi a lui, ma soprattutto deve ricordarsi che il “lavoro” si fa sul campo e non stando seduto dietro una scrivania.