Come sappiamo, l’art. 404 del codice civile prevede che «la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno,…».
La legge dice PUO’, non “deve”!
A questo proposito, riprendiamo in mano perché ancora attuale, un decreto del Giudice Tutelare di Milano, 3 novembre 2014:
egli ha rigettato il ricorso proposto dalla moglie per la nomina di un a.d.s. a favore dell’anziano marito, ricoverato in una Casa di cura.
Il Tribunale ha deciso che in quel caso la nomina di un a.d.s. non era necessaria perché il paziente è collocato in struttura di cura – retribuita per il suo compito – e beneficia di una idonea rete familiare.
La pronuncia conforta l’orientamento dello Sportello di AsSostegno, dove io stessa da anni presto servizio come volontaria.
Noi di AsSostegno, infatti, prestiamo particolare attenzione all’effettiva e attuale necessità della nomina di un a.d.s., scoraggiando i ricorsi inutili o quelli che si volessero proporre solo per “prassi” per lo più dettate da assistenti sociali, Case di riposo o di accoglienza, erroneamente convinti che all’incapacità debba corrispondere “necessariamente” un a.d.s.
Il Tribunale di Milano cita anche altri precedenti e analoghi provvedimenti (Decreti del Tribunale Trieste 24 gennaio 2006, 5 ottobre 2006 e 23 maggio 2008) dove si afferma che «la necessità di un amministratore di sostegno sempre e in ciascuna situazione di bisogno comporta una necessaria istituzionalizzazione di ogni figura di assistente e tradisce la lettera e lo spirito della legge» .
Cosa si intende per istituzionalizzazione? In che senso questa tradisce la lettera e lo spirito della legge?
Istituzionalizzare ogni atto di assistenza, compiuto in virtù di umana solidarietà o affetto, significa pretendere che sempre debba intervenire il Giudice per renderlo “legittimo”, pretendere cioè che il “crisma” della legge, l’investitura da parte dello Stato debba confermare ogni rapporto umano che coinvolga un soggetto “debole” per una sua qualche infermità.
Questa pretesa tradisce anzitutto l’art. 2 della Costituzione italiana che, nel mentre tutela i diritti inviolabili dell’uomo, impone a tutti i cittadini l’adempimento dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale. Tradisce inoltre il principio di sussidiarietà che impedisce allo Stato e alle altre istituzioni di provvedere autoritativamente dove il singolo o le formazioni sociali libere in cui i cittadini si aggregano siano in grado di provvedervi autonomamente.
Secondo il Tribunale di Milano, «per la nomina di un a.d.s non basta, dunque, la mera situazione di “diversità” (fragilità) del soggetto da proteggere, ma è necessario che tale fragilità causi uno strappo nell’esercizio dei diritti o precluda vantaggi o altre utilità, con ostacoli non altrimenti evitabili».
Nel contesto preso in esame dal decreto del G.T., l’amministrazione non ha ragion d’essere se già la famiglia, per solidarietà, o gli ausiliari retribuiti, per dovere, provvedono alle esigenze della persona vulnerabile. L’attivazione di una figura di protezione presupporrebbe, invece, che vi fossero effettivi ed attuali bisogni cui la rete familiare e sociale non può far fronte. Sempreché, precisa il giudice, non sussistano conflitti ovvero dubbi sul perseguimento degli esclusivi interessi del soggetto debole da parte del contesto familiare che lo assiste. Qualora questi dubbi o conflitti sussistessero l’amministratore di sostegno dovrebbe necessariamente non essere un familiare, perché in quel caso gli atti di solidarietà e affetto sarebbero inquinati da altri interessi, non quelli del soggetto debole.
Il Giudice Tutelare di Milano, pertanto, afferma che la nomina di un amministratore di sostegno non è affatto necessaria ed opportuna in ogni situazione di “incapacità”, ma si impone piuttosto una valutazione della complessiva situazione della persona in difficoltà; per cui, verificata la sussistenza di una valida protezione familiare e sociale del beneficiario, se non emergono concreti interessi cui non si possa provvedere che con una figura istituzionale di protezione, la sua nomina non è necessaria.
Così come «appare conforme alla lettera ed allo spirito della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno attingere a questa misura protettiva quando ve ne sia un concreto e soprattutto attuale bisogno, non potendosi accedere a domande presentate per la mera e futura eventualità del venir meno di un sistema di protezione spontaneo» (Trib. Busto Arsizio, sez. Gallarate, decreto 12 ottobre 2011, g.t. V. Conforti). Peraltro, “l’avvio del procedimento sempre e comunque, senza un’articolata valutazione della situazione della persona in difficoltà rischia poi di allargare a dismisura l’ambito di concreta applicazione dell’istituto, sino a renderlo praticamente inefficace perché in concreto non gestibile nei tempi e nei modi previsti dal legislatore (Trib. Trieste decreto 24 gennaio 2006).
Secondo il Tribunale di Milano, tali conclusioni sono a maggior ragion confermate dove la protezione della situazione di vulnerabilità costituisca l’oggetto di un contratto oneroso con un operatore professionale che, discrezionalmente e in regime di libero mercato, abbia scelto di lavorare nel settore dei soggetti deboli. Se, come nel caso esaminato, il soggetto incapace affronta una spesa di circa euro 4.000,00 per il pagamento delle spese di cura, è la stessa Casa di Cura che deve garantire, per contratto, quella rete di protezione che rende del tutto superfluo l’intervento del giudice tutelare. Così come, continua il giudice milanese, la misura protettiva non sostituisce l’assistenza sociale pubblica e non solleva l’operatore sanitario privato o pubblico dalle responsabilità che discendono dagli obblighi assunti per contratto o legge.
Con questa pronuncia non pare d’accordo la Corte di Cassazione che, con Sentenza della VI Sezione civile dd. 18.6.2014 n. 13929, ha stabilito un principio opposto allorché è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un padre contro la conferma della Corte di Appello di Genova di un rigetto del Giudice tutelare del suo ricorso per la nomina dell’a.d.s. a favore del figlio, paziente psichiatrico. Pur in presenza di una patologia che richiede cure specifiche e continuative e il supporto, per gli atti della propria esistenza, di altre persone, il Giudice tutelare aveva respinto il ricorso avendo accertato l’esistenza di «un’ampia rete di protezione» operante a suo favore e osservava che l’art. 404 C.C. non prevede un “obbligo” di nomina.
Secondo la Suprema Corte, invece, «la previsione dell’art. 404 c.c. non esime il giudice dalla nomina di un amministratore di sostegno, in presenza di una condizione di incapacità. E’ da ritenere che la discrezionalità rimessa al giudice attenga alla scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione). In caso contrario, il soggetto incapace sarebbe privato anche di quella forma di protezione dei suoi interessi, meno invasiva, costituita appunto dall’amministrazione di sostegno».
Interessante il fatto che la pronuncia del Giudice Tutelare di Milano che qui segnaliamo sia successiva a questa della Corte di Cassazione. I valori di cui è portatore il Decreto del Tribunale non hanno ceduto al formalismo: l’incapace inserito in una solida rete di solidarietà non è affatto privato dalla protezione che gli è necessaria, non esiste solo la “protezione” assicurata da una figura istituzionale. Esiste invece la protezione assicurata dalla solidarietà e dall’affetto e questo il diritto deve riconoscerlo. Noi possiamo auspicare che la Corte di Cassazione arrivi anch’essa a questa conclusione.
Caterina Dolcher