A lungo dibattuta in dottrina e giurisprudenza, è la questione che riguarda la scelta di applicare l’istituto dell’amministratore di sostegno o quello dell’interdizione nei casi in cui il soggetto abbia particolari fragilità fisiche o/e psichiche. La nostra analisi prende le mosse da una sentenza del Tribunale di Bari sez. I. del 11.06.2016 n.736 (in allegato) che ha dichiarato, su ricorso dei parenti e con l’intervento del PM l’interdizione del sign. B.F con nomina di un tutore e con sentenza provvisoriamente esecutiva.
L’istituto dell’interdizione è fortemente limitativo: priva parzialmente o totalmente il soggetto della capacità di agire necessaria per compiere atti giuridici e amministrare il proprio patrimonio e ciò attraverso la sostituzione con un tutore che compie tutti gli atti senza dover consultare l’interdetto.
La legge 9 gennaio 2004, n. 6 prevede l’introduzione dell’amministrazione di sostegno e modifica gli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizione e inabilitazione.
Il fine della legge è proprio quello di trovare un istituto meno invasivo, più elastico e flessibile rispetto all’interdizione e l’inabilitazione, che garantisca all’incapace la tutela più adeguata con la minore limitazione possibile della sua capacità. La prospettiva e’ quella di abrogare tali istituti che ora rimangono nel Codice come retaggi del passato non più’ necessari e infatti non più’ applicati dalla maggior parte dei tribunali a partire dal 2004. Il ricorso alle più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione non trova oggi giustificazione nemmeno nella assoluta necessità della protezione della persona, in quanto l’art. 411 quarto comma c.c “estende al beneficiario dell’amministratore di sostegno effetti,limitazioni,decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto e l’inabilitato”.
Come accennato sopra si continua a ravvisare, una situazione con posizioni disomogenee sul tema, alcuni tribunali propendono per l’applicazione dell’ads, anche indipendentemente dalla complessità’ della malattia (ad esempio, Cass. 22 aprile 2009, n.9628, che ha cassato la decisione del giudice di
merito di optare per l’interdizione a soggetto affetto da esiti di ematoma acuto subdurale e cardiopatia ischemica, pur a fronte di una situazione clinica di totale decadimento cognitivo ed alterazione abituale delle facoltà intellettive e volitive). Altri tribunali invece ritengono più’ frequente l’impiego dell’interdizione, anche se con sempre meno frequenza.
Si evidenzia, innanzitutto e senza dubbio il carattere residuale, di extrema ratio dell’interdizione, come emerge dalle disposizioni di legge e nella stessa sentenza del caso di specie: Trib. Bari: “..anche la Corte Costituzionale ha precisato che la disciplina prevista dalla legge n.6/2004 affida al Giudice il compito di individuare l’istituto che garantisca la tutela più’ adeguata, limitando la capacita’ del soggetto nella minore misura possibile, e di ricorrere all’interdizione solo se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare tale protezione.. La Corte Suprema ha chiarito che l’istituto ha carattere residuale, intendendo il legislatore riservarlo a quelle ipotesi in cui nessuna efficacia protettiva sortirebbe una diversa misura”
Si sostiene, in dottrina, che i criteri da valutare nella scelta dell’interdizione sono quello patrimoniale e di complessità del caso concreto.
Per esempio nei casi in cui l’entità del patrimonio mobiliare e immobiliare del soggetto sia di elevata consistenza, la misura interdittiva verrebbe scelta per la migliore gestione e conservazione del patrimonio, da parte del tutore. Escludendo la capacità di agire dell’interdicendo gli si impedirebbe di disperdere il proprio patrimonio e si tutelerebbero, di fatto, i suoi familiari, sopprimendo in capo all’incapace ogni residua e potenziale autonomia.
Il caso viene considerato “complesso” quando l’incapace può compiere atti pregiudizievoli verso sé medesimo o verso terzi e quindi non risulti “semplice” la gestione complessiva della situazione, perciò la misura interdittiva poteva risultare prioritaria.
Tuttavia come gia’ evidenziato il Giudice Tutelare può affidare all’ads poteri non dissimili da quelli del tutore dell’interdetto.
Nel caso di specie, l’interdicendo è affetto da “cardiopatia scleroipertensiva (…) ricovero per TVSN. BPCO. Sindrome di Alzheimer. Portatore di PM DDD. Ricovero per igroma emisferico destro”
Nonostante la gravità e l’irreversibilità della menomazione psicofisica che di fatto dimostra nel soggetto una incapacita’ volitiva e di cognizione, e che poteva, in passato, essere il primo elemento per una scelta favorevole all’interdizione, in sentenza non vi e’ nessun riferimento all’entità del patrimonio né alla pericolosità dell’incapace (sia verso sè stesso sia verso gli altri) nè alcun riferimento agli altri criteri sopra descritti. Inoltre,oggi, neanche questi elementi potrebbero giustificare l’applicazione dell’interdizione constatato che i poteri conferiti all’AdS e le conseguenti limitazioni della capacità di agire del beneficiario possono coincidere con quelli del tutore pur non mortificando chi gode di protezione.
In conclusione possiamo affermare che Il Giudice sarebbe tenuto a compiere un esame attento della condizione complessiva dell’interessato, considerando la residualità (e ci si permette di evidenziare, l’inutilità), dei vecchi istituti che, nè è evidenza pratica, non appaiono affatto più adeguati.
L’obbiettivo è di proteggere e accompagnare anziché scavalcare e sostituire l’incapace nelle scelte di ordinaria e straordinaria amministrazione. Infine limitarsi alla gravita’ della malattia come scelta dell’interdizione dimostra un orientamento non conforme ai principi dettati dalla Suprema Corte e non il linea con i nuovi strumenti a protezione delle persone prive di autonomia.
In collaborazione con Giulia Fineschi
(Università degli Studi di Trieste – Dipartimento di scienze giuridiche)