E’ stato richiesto al dott Impellizzeri, vice presidente di una società finanziaria, e persona di grande esperienza e sensibilità, di illustrare quali possano essere i criteri elementari per orientare gli operatori (amministratori di sostegno e giudici tutelari) nella lettura degli investimenti in corso e nella proposta di nuovi investimenti dei risparmi dei Beneficiari; le informazioni da lui fornite, se, da un lato, risultano allarmanti, dall’altro offrono chiare e concrete indicazioni.
“Nei vari interventi che si sono susseguiti durante il Seminario, molto spesso si è parlato di “difesa del patrimonio” del Beneficiario. Si è anche sottolineato come l’interesse del Beneficiario debba essere perseguito dall’Amministratore di Sostegno quale assoluta priorità. Facendo inoltre particolare attenzione ai “conflitti di interesse”. La domanda che vorrei porre è se tali principi vengano totalmente rispettati allorquando si tratta degli investimenti del patrimonio del soggetto tutelato: portafogli composti esclusivamente da titoli dello Stato italiani, oppure da obbligazioni bancarie o ancora da polizze di assicurazione a capitale garantito non sono, a mio avviso, dei portafogli efficienti e costruiti in modo tale da privilegiare l’interesse del beneficiario.
Eppure spesso, quando sono questi gli strumenti ad essere proposti, l’autorizzazione del Giudice Tutelare non trova ostacoli. C’è l’art. 372 del C.p.c. che, in particolar modo nel caso dei titoli dello Stato ed in quelli obbligazionari, legittima questa interpretazione naturalmente. Poi, per quanto concerne le polizze, la definizione di “capitale garantito” evoca con tutta probabilità un’immagine di sicurezza e protezione.
Iniziando proprio da queste ultime ed approfondendo l’argomento, non sembra essere propriamente così. E’ una delle organizzazioni di tutela dei diritti dei consumatori, l’Aduc, ad esprimersi senza mezzi termini: prodotti dai quali star lontani, afferma, in quanto quello del capitale garantito è un vero “specchio per allodole”. Una garanzia pagata molto cara, che, se costruita banalmente e molto facilmente con il fai da te, genererebbe, a parità di rendimento, almeno un guadagno superiore del 4% per effetto dei minori costi. Un’illusione, in fin dei conti, pagata a caro prezzo e che contribuisce in primis a proteggere sì, ma più che il risparmiatore, i bilanci di chi la propone.
Oltre all’inefficienza del prodotto un altro problema da non sottovalutare è verificare chi fornisca la garanzia del capitale. Recentemente molte decine di migliaia di risparmiatori sono rimasti invischiati in situazione a dir poco spiacevoli. Convinti di sottoscrivere dei prodotti che pensavano essere garantiti dall’Istituto presso il quale avveniva l’operazione, hanno scoperto, purtroppo troppo tardi, che la garanzia era offerta dalla banca d’affari americana Lehman Brothers. Il fallimento di quest’ultima ha fatto saltare la garanzia del capitale, lasciando i malcapitati con un pugno di mosche nelle mani.
Il capitolo obbligazioni bancarie ha obbligato addirittura la Consob, organo di controllo dei mercati, ad intervenire per cercar di interpretare un fenomeno che risulta esclusivamente italiano. L’enorme raccolta di questi strumenti, effettuata dagli Istituti di credito nostrani, sembra indecifrabile. La scarsa liquidabilità (solo il 9% di questi titoli risulta regolarmente quotato e quindi realizzabile facilmente) e un rating generalmente inferiore rispetto ai titoli dello Stato, dovrebbero indurre il risparmiatore a richiedere, in termini di rendimento, un premio superiore. Accade viceversa il contrario. Nella grande maggioranza dei casi il rendimento di tali obbligazioni bancarie è inferiore a quello di un titolo dello Stato.
La causa di questa anomalia viene attribuita dalla Consob principalmente ad un problema di finanza comportamentale. L’eccesso di “familiarità” porta il risparmiatore a considerare buono un titolo proposto da un interlocutore noto. Anche quando in effetti non è così. La scarsa percezione del corretto rapporto rendimento/rischio diviene fuorviante.
Il conflitto di interesse, che avvelena il nostro sistema finanziario, non viene tenuto in debita considerazione ed il risparmiatore è indotto a delle scelte non ottimali.
Per quanto concerne i Titoli dello Stato invece, è facilmente comprensibile che l’alone di sicurezza di cui sono sempre stati avvolti, ha indotto il legislatore a contemplarli come l’investimento più sicuro. Allora inoltre non erano nemmeno previste alternative e l’investimento al di fuori dei nostri confini risultava impraticabile. Ora però il clima è diverso. Solo a novembre scorso la percezione di possibilità di default dell’azienda Italia a 10 anni arrivava, secondo i dati del Sole 24 Ore, addirittura al 53,17%. L’andamento dei prezzi dei Btp e dei Cct in soli due mesi riscontrava delle perdite al di sopra del 10% per i primi e di oltre il 7% per i secondi.
Prediligendo la sicurezza quindi, in un buon investimento non si può prescindere da una corretta diversificazione. Deve essere il primo Comandamento di ogni risparmiatore.
Quali potrebbero essere delle valide alternative quindi ?
Ci viene in soccorso la Mifid. Una normativa europea recepita anche dall’Italia nel 2007, finalizzata alla regolamentazione dei mercati ed alla tutela dell’investitore.
Tra i molteplici elementi di cui tratta la Mifid, c’è n’è uno che ritengo possa essere particolarmente pertinente al nostro tema. E’ quello della creazione di un nuovo servizio d’investimento che è la Consulenza: essa è una raccomandazione di acquisto personalizzata effettuata da soggetti abilitati e sottoposti a specifiche disposizioni in materia di autorizzazione e regole di condotta applicabile nell’esercizio dell’attività.
In particolare è la Consulenza con la retrocessione degli inducement che può generare una proposta di acquisto libera da ogni secondo fine. Gli inducement infatti sono le retrocessioni che le varie società prodotto erogano ai loro distributori. Se quest’ultimi quindi, retribuiti con una parcella percentualmente fissa, perdono l’interesse a vendere i prodotti più ricchi per il proprio tornaconto, si liberano di quella catena di cui sono prigionieri che si chiama “conflitto di interesse”.
Se l’indagine conoscitiva del cliente è fatta con i giusti criteri, se i paletti delimitanti le sue esigenze sono stati piantati per bene, se la situazione è stata rappresentata dettagliatamente, ecco che la proposta che ne scaturisce (essendo stati i vari prodotti già classificati in precedenza), dovrebbe essere assolutamente calzante. Il Giudice Tutelare dovrebbe trovarsi ad autorizzare una proposta certificata da una normativa europea, con una valenza ufficiale a tutti gli effetti e che aderisce a quelle che sono esattamente le esigenze personali del Beneficiario.
Non sarà la quadratura del cerchio, ma almeno cominceremmo ad avvicinarvisi.
Dott.Furio Impellizzeri – Vice Presidente di COPERNICO spa
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