“Leggere senza amore, sapere senza reverenza,
essere colti senza cuore, è uno dei più grossi
peccati contro lo spirito.”
(H. Hesse)
A mia moglie
unica e vera interprete dei miei bisogni ed aspirazioni
ed autentica lettrice delle mie richieste.
1. FINALITA’ DELLA LEGGE ALLA LUCE DEI LAVORI PREPARATORI (2° Commissione permanente – Giustizia – S. R.) E CONSEGUENZE ERMENEUTICHE DEL TESTO DI LEGGE.
2. RILETTURA DELLE FINALITA’ DELLA LEGGE ALLA LUCE DELLE MUTATE ESIGENZE STORICHE. NORMATIVA INTERNA ED INTERNAZIONALE.
3. CONTENUTO DEL DECRETO, PRIME APPLICAZIONI. OSSERVAZIONI CRITICHE AL DETTATO NORMATIVO IN ORDINE AD ASPETTI SOSTANZIALI.
Capitolo 1
FINALITA’ DELLA LEGGE ALLA LUCE DEI LAVORI PREPARATORI
(2° Commissione permanente – Giustizia – S. R.)
E CONSEGUENZE ERMENEUTICHE DEL TESTO DI LEGGE.
Dal mese di marzo 2004 ad oggi si sono susseguiti convegni, dibattiti, seminari, articoli, commenti, decreti e reclami che hanno tentato di dare una lettura alla tanto attesa legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno.
Ritengo, però opportuno, proprio per le diverse letture che si manifestano agli occhi degli operatori, dei settori interessati, tentare di offrire una valutazione esegetica in chiave critica muovendo i primi passi dal dibattito che si è animato dal settembre 2001 al dicembre 2003 in ambito legislativo, con l’obiettivo di tradurre una possibile applicabilità della norma che non ne tradisca la filosofia di fondo che ne ha ispirato il contenuto: una diversa cultura e visione della persona nella sua integralità.
Il rischio che ho visto correre nell’applicazione della nuova normativa è stato quello di assumere per totalizzanti alcune categorie di letture che potevano apparire innovative in tema di applicazione degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, ma che si manifestano alla luce della nuova legge come vetuste e lontane dallo spirito che l’ha animata.
Sebbene vi sia stato il tentativo negli ultimi anni di mitigare gli effetti dell’interdizione ponendo l’accento sulla cura della persona e rendendo funzionale la gestione patrimoniale a quel primario obiettivo, con probabilità non si è di fatto operato osservando con rigore la necessità di tutelare bisogni, aspirazioni ed aspettative del soggetto, destinatario del provvedimento, spesso valutato lontano dalla sua storia, dal suo ambiente familiare e di vita.
Si pensi ai trascurati effetti dell’interdizione rispetto agli istituti a protezione degli interessi familiari e coniugali come voluti ed introdotti dal legislatore del 1975 in tema di comunione legale.
Da una ricerca effettuata, pare non emergano provvedimenti di Giudici Tutelari che abbiano considerato l’esclusione dall’amministrazione, dell’interdetto, rispetto al patrimonio in comunione legale ex art. 183 c.c., così trascurando gli effetti che tale omissione possa generare concretamente nell’ambito della famiglia che vede il proprio congiunto colpito dal provvedimento di interdizione.
Si pensi al caso di due coniugi, in comunione legale dei beni, che gestivano l’azienda familiare, ed il marito titolare della stessa azienda, acquistata prima del matrimonio, viene interdetto a causa della totale compromissione volitiva a cognitiva generata da un grave incidente automobilistico.
Altro sintomo di una cultura giuridica ancora chiusa rispetto alla persona è il non considerare in modo adeguato che la normativa in tema di tutela è stata dettata con il nostro codice, in considerazione dei soli minori ed estesa agli infermi di mente con solo richiamo.
Cosa diversa è la collocazione di un minore rispetto alla collocazione di un anziano, il primo si affaccia alla vita cercando di conoscerla ed apprezzarla, dovendo apprendere criteri di valutazioni, nozioni, informazioni e dati, il secondo ha già vissuto, ha già informazioni, ha già maturato e tradotto aspirazioni, ha doveri e diritti che si connotano diversamente rispetto al minore, pertanto richiamare l’art. 371 c.c., quale norma cardine, per fondare un’autorizzazione “quadro” che ingabbi l’operato del tutore rispetto ai bisogni e la realtà di un adulto, potrebbe essere limitante e di poca attenzione rispetto alla persona ed al contesto relazionale in cui è vissuta.
Vi sono esempi, come quello francese, che potrebbero illuminare gli operatori, rispetto a ciò che può voler significare l’espressione “centralità della persona”.
Senza trascurare che l’operatività, nell’ambito degli atti di ordinaria amministrazione, non necessita di autorizzazione giudiziale, pertanto anche in tal senso una autorizzazione quadro che trascuri tale aspetto non può che imporsi quale totalizzante rispetto alla persona e sganciata da tutta quella complessa elaborazione dottrinale, frutto di grossi sforzi di cultura giuridica, che ha creato la categoria degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione.
La legge 6 gennaio 2004, n. 9 si affaccia, dunque, al panorama della tutela dei soggetti fragili quale forte provocazione a schemi culturali rigidi e vetusti.
La norma, infatti, appare quale espressione del valore della persona in una visione olistica della stessa.
Cerchiamo però di fondare quanto sopra, sulla base di un percorso dei lavori espressi dalla legislatura in corso, osservando come il legislatore abbia introdotto il nuovo istituto e mantenuto l’interdizione e l’inabilitazione in modo tale da consentirne l’utilizzo nei rispettivi ambiti, così offrendo più strumenti capaci di calzare, con maggiori garanzie, la variegata e complessa realtà dei casi, tensione limite di ogni previsione legislativa.
Dai lavori preparatori emerge in modo chiaro che l’intendimento è quello di individuare i settori di operatività dei diversi istituti.
Nella 25° sessione, del 25 ottobre 2001, il senatore Gubetti si espresse osservando come indispensabile è “che siano definiti con chiarezza gli ambiti di applicazione di tale istituto rispetto agli istituti già esistenti dell’interdizione e dell’inabilitazione”.
Il senatore Fassone nella stessa seduta fa presente ….“l’art. 4 del disegno di legge n. 375 consente di definire i rispettivi ambiti di applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, da un alto e dell’istituto dell’interdizione dall’altro, e di evitare quindi i problemi che potrebbero nascere da un’impropria sovrapposizione degli stessi …”.
Ancora più significativa è la relazione dell’onorevole Ermanna Mazzoni che nella seduta del 30 gennaio 2002 si esprime: “ …tutti i progetti di legge in esame tendono a dare soluzione al problema della cura dei soggetti non pienamente capaci di tutelare i propri interessi, per i quali il codice prevede solo momenti estremi di tutela attraverso gli strumenti dell’interdizione e dell’inabilitazione. Si introduce quindi la figura dell’amministratore di sostegno, cioè un soggetto incaricato dello svolgimento di determinati atti a vantaggio di persone affette da patologie non gravi o da disagi psicologici lievi per le quali non si ritiene opportuno dar luogo ad altre procedure previste dal codice civile …”
Ancora l’onorevole Luigi Giacco nella seduta del 20 febbraio afferma: “…l’importanza del provvedimento, atteso da anni da molte famiglie italiane, ….la figura dell’amministratore di sostegno non lede i diritti fondamentali della persona, garantendo a determinate categorie di soggetti non completamente autosufficienti un’adeguata tutela della qualità della vita, al di là dell’assistenza prestata dai familiari”.
In modo altrettanto chiaro l’onorevole Battaglia nella sessione del 28 ottobre 2003 osserva: “Oggi, grazie ai processi di integrazione, abbiamo ottenuto dei risultati in base ai quali la persona può non essere completamente autosufficiente, può non essere completamente padrona di sue scelte autonome in campo patrimoniale e in campo lavorativo, ma non per questo deve essere interdetta. Può essere, ed è questa la funzione dell’amministrazione di sostegno – affiancata da una persona che la sostiene, nel senso che la aiuta ad assumere quelle decisioni, quegli atti che autonomamente non sarebbe in grado di compiere, senza per questo venir meno la sua possibilità di godere dei suoi diritti.”
Nella stessa seduta altro intervento, di assoluta chiarezza, che ha permeato i lavori di elaborazione del testo finale è quello dell’onorevole Giuseppe Fanfani, il quale, osservando che la proposta di legge è segno di mutata civiltà, esprime: “….provvedimento ……che rendesse chiaro un fenomeno, quello dell’assistenza alle persone affette da minore menomazione, non necessariamente psichica, che si collocasse al di fuori della disciplina dettata dal codice civile … è una proposta di legge che si rivolge a tutti coloro che sono portatori di handicap ed hanno una minore funzionalità sia fisica, sia psichica, come gli alcolisti, o coloro che non sanno badare a se stessi per ragioni di età o per altre ragioni.”
Nella stessa sessione interviene l’onorevole Franco Grillini che segnalando l’esistenza di 700 mila casi di “disabili psichici” in Italia, soltanto una piccola parte necessita del grave provvedimento di interdizione, mentre per gli altri non si necessita di una “incapacitazione a 360 gradi”. Afferma: “Venire incontro a chiunque si trovi in difficoltà nell’esercizio dei propri diritti.”
Ancora nella stessa seduta l’onorevole Francesca Martini, esprime lo spirito che ha determinato la legge ed i lavori, precisando che l’amministrazione di sostegno si dovrà rivolgere a “…situazioni per le quali è necessario intervenire in modo più sfumato rispettando la dignità della persona. Pensiamo a molti casi in cui i soggetti sono incapaci di provvedere a loro stessi non perché affetti da infermità mentale, ma perché sono molto anziani o sono affetti da handicap fisici o sono affetti da impedimenti temporanei”.
Ancora l’onorevole Giuseppe Fanfani, nell’avvicendarsi degli interventi, coglie e sottolinea un aspetto fondante la legge: “…questa legge ha la capacità di prendere in esame le disabilità minori….. creando una forma di assistenza anche sotto il profilo giuridico che, non presupponendo una loro incapacità totale o parziale, ma prendendo atto di una inabilità che può assumere gli aspetti più diversi sino a giungere alla semplice inabilità di carattere naturale – che è quella della vecchiaia, sapesse supportare questi aspetti della vita in forma corretta.”
Possiamo dunque, da questa prima selezione funzionale dei lavori preparatori, evidenziare come le espressioni usate dai parlamentari “distinzione dei rispettivi ambiti”, “soggetti non pienamente capaci”, “patologie non gravi”, “disagi psicologici lievi”, “categorie di soggetti non completamente autosufficienti”, “aiuto ad assumere decisioni”, “assistenza a persone affette da minore menomazione”, “chiunque si trovi in difficoltà”, “intervenire in modo più sfumato”, “prendere in esame disabilità minori”, “prendere atto di una inabilità”, pongono con sufficiente certezza che l’amministrazione di sostegno, l’interdizione e l’inabilitazione si occupino di ambiti diversi e che non vi siano possibilità teoriche per sovrapposizioni degli istituti se non per gli effetti relativi a compimento di determinati e specifici atti e per alcuni effetti di “preclusione giuridica” che consegue all’adozione del provvedimento di amministrazione di sostegno.
E’ possibile, sulla scorta di quanto sopra evidenziato, configurare che il legislatore abbia voluto prevedere più categorie e strumenti di intervento così da garantire la copertura di tutto il panorama della fragilità dalla ridotta autonomia fino alla incapacità invalidante.
Gli istituti pertanto configurabili sono:
1. Amministrazione di sostegno, legge 9 gennaio 2004, n. 6 permanente o temporanea – ordinaria -.
2. Amministrazione di sostegno temporanea per il compimento di atti urgenti sia diretti alla gestione patrimoniale che alla cura della persona – straordinaria – legge 9 gennaio 2004, n. 6.
3. Amministrazione provvisoria per il compimento di atti urgenti per conservare ed amministrare il patrimonio del soggetto sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio ex art. 35, L. 23 dicembre 1978, n. 833.
4. Interdizione piena.
5. Interdizione, con limitazione di alcuni effetti, ammettendo che l’interdetto possa compiere determinati atti di ordinaria amministrazione.
6. Inabilitazione piena.
7. Inabilitazione, con limitazione di alcuni effetti, ammettendo che l’interdetto possa compiere determinati atti di ordinaria amministrazione.
Potrebbe apparire più semplice e meno stigmatizzante rielaborare il contenuto della legge 6/2004 affermando che l’amministrazione di sostegno sia l’unico strumento che il legislatore offre avendolo strutturato in modo da poter estendersi alle più gravi compromissioni delle facoltà cognitive e volitive, ma ritengo che tale lettura non sia aderente né alla ratio della norma, né al dato normativo esaminato in modo coordinato e sistematico. Pare configurabile che una lettura interpretativa della legge che destini l’interdizione e l’inabilitazione ad uscire dal quadro applicativo degli istituti a protezione dei soggetti deboli si fondi sul mancato coordinamento degli art. 1 della legge 6/2004 e gli artt. 404 e 409 del c.c. novellati e sul mancato rilievo della contraddizione che esprimono nel dato testuale.
Riporto, per una più immediata comprensione dell’affermazione appena fatta gli articoli 1, 404 e 409:
Art. 1, L.6/2004 (Finalità della legge)
“1. LA PRESENTE LEGGE HA LA FINALITA’ DI TUTELARE, CON LA MINORE LIMITAZIONE POSSIBILE DELLA CAPACITA’ DI AGIRE, LE PERSONE PRIVE IN TUTTO O IN PARTE DI AUTONOMIA NELL’ESPLETAMENTO DELLE FUNZIONI DELLA VITA QUOTIDIANA, MEDIANTE INTERVENTI DI SOSTEGNO TEMPORANEO O PERMANENTE”.
Art. 404 c.c.(Amministrazione di sostegno)
“LA PERSONA CHE PER EFFETTO DI UNA INFERMITA’ OVVERO DI UNA MENOMAZIONE FISICA O PSICHICA, SI TROVA NELLA IMPOSSIBILITA’, ANCHE PARZIALE O TEMPORANEA, DI PROVVEDERE AI PROPRI INTERESSI, PUO’ ESSERE ASSISTITA DA UN AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO, NOMINATO DAL GIUDICE TUTELARE DEL LUOGO IN CUI QUESTA HA LA RESIDENZA O IL DOMICILIO.”
Art. 409 c.c.(Effetti dell’amministrazione di sostegno)
“ IL BENEFICIARIO CONSERVA LA CAPACITA’ DI AGIRE PER TUTTI QUEGLI ATTI CHE NON RICHIEDONO LA RAPPRESENTANZA ESCLUSIVA O L’ASSISTENZA NECESSARIA DELL’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO.
IL BENEFICIARIO DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO PUO’ IN OGNI CASO COMPIERE GLI ATTI NECESSARI A SODDISFARE LE ESIGENZE DELLA PROPRIA VITA QUOTIDIANA”.
La lettura coordinata dei tre articoli richiamati, porta a rilevare che l’espressione dell’art. 404 c.c. “impossibilità, anche parziale o temporanea”, ricomprenda l’impossibilità totale e permanente, rilievo, certamente, da un punto di vista della ricostruzione e significato della frase, corretto, ma non appare altrettanto chiaro il disposto se lo si collega alla previsione dell’art. 409 c.c. .
Infatti come può un soggetto impossibilitato totalmente e permanentemente a curare i propri interessi compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana?
Affermare, dunque, che l’amministrazione di sostegno soppianti gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, alla luce di quanto sopra evidenziato, appare eccessivo e fuorviante rispetto alla finalità della norma. L’espletamento degli atti diretti a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana è presupposto limite per rendere applicabile l’amministrazione di sostegno, laddove tale autonomia sia compromessa, non si può far altro che affacciarsi all’interdizione come legittima soluzione per strutturare un’adeguata protezione del soggetto debole, privato naturalmente di ogni autonomia e capacità.
Ritengo possibile sanare la contraddizione evidenziata, leggendo le espressioni utilizzate dal legislatore, graduando l’impossibilità, abbinandovi la temporaneità e la permanenza delle condizioni in cui versa l’individuo, così da collegare in modo pertinente e logico le espressioni di legge.
Gli abbinamenti configurabili e gli istituti applicabili sono i seguenti:
CONDIZIONE = ISTITUTO APPLICABILE
1) impossibilità parziale temporanea = amministrazione di sostegno;
2) impossibilità parziale permanente = amministrazione di sostegno;
3) impossibilità totale temporanea, con riguardo alla certezza della temporaneità ed alla incertezza clinica sulla permanenza = amministrazione di sostegno;
4) Impossibilità quasi totale e permanente non suscettibile di evoluzioni positive = interdizione con limitazione per alcuni effetti;
5) Impossibilità totale e permanente senza alcuna possibilità di recupero di alcune funzioni determinanti per consentire il compimento di alcuni atti fondamentali per la vita = interdizione piena
Il punto di snodo potrebbe configurarsi proprio nell’ipotesi dell’impossibilità totale temporanea, eccezione ammissibile quale punto di passaggio tra l’istituto dell’amministrazione di sostegno e l’interdizione e ciò per due ordini di motivi:
a) la temporaneità dell’impossibilità,
b) la maggior duttilità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno rispetto all’interdizione.
Il Giudice Tutelare, infatti, può graduare il proprio intervento in modo più diretto ed immediato ed anche d’ufficio, rispetto al collegio chiamato a pronunciasi sull’interdizione e l’inabilitazione.
La indicata impostazione consentirebbe di evitare il disagio della preclusione al soggetto interdetto, che vede progressivamente migliorare le proprie condizioni, riappropriandosi delle proprie autonomie, di ricorrere personalmente, quindi senza assistenza legale, per ottenere la revoca dell’interdizione con il passaggio all’amministrazione di sostegno.
L’amministrazione di sostegno è in questo caso strumento utile e diretto alla tutela della dignità della persona umana, della sua libertà di espressione e di autodeterminazione.
La proposta interpretativa appena avanzata può essere letta come traduzione di quei principi, sia del nostro dettato costituzionale che del Trattato dei diritti fondamentali della Comunità europea.
L’esclusione di tale impostazione non renderebbe il provvedimento, che negasse l’ammissibilità dell’amministrazione di sostegno, per tale ipotesi, solo reclamabile innanzi alla Corte d’appello ed impugnabile in Cassazione, ma impugnabile innanzi alla Corte di Giustizia della Comunità europea, per lesione di principi fondamentali a cui la Comunità e quindi gli Stati aderenti si ispirano.
Ritengo che tale graduazione sia configurabile altresì rispetto all’inabilitazione, facendo riferimento alle ipotesi previste dalle norme che giustificano applicabilità dell’istituto stesso, leggendole quali portatrici di esclusioni specifiche dell’amministrazione di sostegno.
La lettura della norma che esprime le finalità della legge può acquisire, dunque, una diversa dimensione nella prospettiva indicata.
L’amministrazione di sostegno può ritenersi diretta a prestare ausilio in tutte quelle situazioni in cui la fragilità consente al beneficiario di preservare la propria autonomia nel compimento degli atti diretti a soddisfare le esigenze primarie della propria vita quotidiana.
Quanto sopra non vuole peraltro trascurare la possibilità che l’amministrato avanzi richieste, manifesti bisogni, aspirazioni, consensi e dissensi, colui che, beneficiario dell’originario provvedimento di amministrazione, perdesse, nell’involuzione della sua autonomia, la capacità di esprimere ciò che la legge indica come dato imprescindibile su cui fondare l’applicabilità dell’amministrazione di sostegno, non potrebbe che approdare al procedimento di interdizione nella sua formula graduata o piena.
Quanto elaborato dovrebbe poi essere confortato da dati clinici con il supporto della conoscenza medica, psichiatrica, geriatrica e psicologica.
Con riferimento agli anziani, e non solo, si può trovare una interessante elencazione di situazioni chiave in cui convergono le fragilità tipiche anche dell’età avanzata nel testo “Fine serie, riflessioni sulla terza e quarta età” ed. Archetipi 2002, di Fabrizio Cavenna, al capitolo “Il paziente scomodo” dove vengono configurati i seguenti gruppi: “Disturbi mentali organici”, la demenza, i disturbi d’ansia, (fra i quali i disturbi fobici, il disturbo di attacchi di panico, il disturbo ossessivo compulsivo), l’ipocondria, i disturbi dell’umore – la depressione, disturbi schizzofrenici e deliranti, disturbi di personalità e nevrosi.
Come di ausilio è considerare cosa sia da un punto vista clinico la “Terapia di sostegno” che in quanto tale implica la capacità del beneficiario di interagire con chi la pratica.
Di particolare interesse risultano le riflessioni del prof. Virginio Oddone, fra gli atti del convegno seminario tenutosi presso il Tribunale di Torino, raccolti e pubblicati dall’associazione Tutori professionisti, Egida (egida.atp@libero.it), di Torino, il quale esprime in modo chiaro e personale come configurare un esame obiettivo del soggetto debole. Lo schema operativo è così considerato:
A. Condizioni di salute, con specifica analisi del complesso morboso che ha determinato la necessità di protezione.
B. Problemi psichici e comportamentali, con particolare attenzione alla presenza di eventuali manifestazioni aggressive, di pulsioni molto forti in una qualche direzione, ecc..
C. Abilità residue: cosa il paziente è in grado ancora di fare, eventuali punti di forza per un recupero di competenze, od il mantenimento di un certo livello di operatività autonoma.
D. Profilo evolutivo delle patologie e dei problemi psichici, e loro curabilità e/o controllabilità nel tempo, se sia prevedibile un peggioramento progressivo, oppure la situazione sia stabile, ecc.; nel caso di patologie inarrestabili, identificare i parametri di terminalità/accanimeno terapeutico (v. sopra).
E. Il contesto ambientale: famiglia, rete famigliare, rete sociale, ecc.; presenza di eventuali conflitti, ecc.. Valutazione anche della sicurezza del luogo ove l’incapace risiede.
F. Collocabilità: il soggetto può continuare a rimanere a casa? deve essere messo in una comunità, con quali esigenze di base?
G. Risorse disponibili: economiche (inventario), umane “proprie” (famiglia, rete sociale personale), pubbliche.
H. Rischi: vittimizzazione in primo luogo (cioè il rischio che la persona diventi o sia stata vittima di reato); di peggioramento delle proprie condizioni; di danno per gli altri (ad es., a causa della sua aggressività); ecc..
Altra conseguenza che discende dal dettato normativo, così come dalla lettura prospettata è la insufficienza delle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione rispetto agli elementi che privilegiano la persona in una visione e dimensione completa rispetto ad una prospettiva di sola gestione patrimoniale.
Sollecitati dalla legge 6/2004 possiamo articolare una più estesa configurazione di categorie di atti:
1) ATTI DI ORDINARIA AMMINISTRAZIONE
2) ATTI DI STRAORDINARIA AMMINISTRAZIONE
3) ATTI RELATIVI ALLA VITA QUOTIDIANA
3.1 – DI NATURA PATRIMONIALE
a. Svolgere attività lavorativa.
b. Riscuotere pensione o rendite.
c. Soddisfare esigenze primarie al proprio sostentamento e mantenimento.
d. Provvedere ai pagamenti ordinari (utenze gestioni).
3.2 – DI NATURA PERSONALE
a. Igiene e cura giornaliera della propria persona.
b. Igiene e decoro nell’ambiente di vita.
4) ATTI RELATIVI ALLA CURA
a. ASPETTO SANITARIO
b. COLLOCAZIONE ABITATIVA
c. VITA DI RELAZIONE
– familiare
– di gruppo
– di società
5) ATTI PERSONALISSIMI
a. matrimonio
b. separazione
c. divorzio
d. testamento
e. consenso ai trattamenti sanitari
Capitolo 2
RILETTURA DELLE FINALITA’ DELLA LEGGE ALLA LUCE DELLE MUTATE ESIGENZE STORICHE.
NORMATIVA INTERNA ED INTERNAZIONALE.
Proseguendo nel tentativo di dare alla norma un significato di largo respiro rispetto a letture estreme e spesso sganciate dall’intendimento del legislatore oltre che da una esegesi sistematica del testo di legge, pare opportuno soffermarsi brevemente sulle ragioni che hanno determinato la legge.
Almeno quattro sono le ragioni di fondo:
1. La mutata coscienza pubblica rispetto al problema storicamente e gravemente emergente della tutela dei soggetti deboli (anziani, soggetti portatori di handicap, malati mente, soggetti affetti da malattie degenerative …. e l’elenco potrebbe proseguire….);
2. L’inadeguatezza degli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione, data la loro rigidità e data l’impronta storica che li caratterizza quali strumenti, per la maggior parte dei casi, diretti principalmente alla tutela patrimoniale del soggetto colpito dal provvedimento, pur non trascurando i tentativi da parte di alcuni Giudici tutelari di mitigazione, sicuramente innovativi e di grande respiro;
3. Una rilettura degli artt. 2 et 3 del nostro dettato costituzionale, constatando come è mutato il senso di alcuni valori fondamentali
salvaguardia dei diritti inviolabili dell’uomo;
dignità;
uguaglianza;
libertà;
il diritto alla salute da leggersi nella sua accezione più ampia di SALUS intesa come integrità fisica, psichica, emotiva, relazionale e spirituale.
4. Una forte spinta in ambito internazionale. Esempio cardine lo troviamo nella convenzione dell’Aja del 13 gennaio 2000, che rappresenta la concreta dimostrazione e testimonianza di quanto sia grave ed urgente, per diversi paesi, di occuparsi in modo adeguato della tutela dei soggetti deboli.
La Convenzione nasce per articolare un regime di tutela dei soggetti deboli, sollecitando la cooperazione tra le diverse autorità degli stati aderenti ed individuando i caratteri essenziali che devono contraddistinguere la tutela dei soggetti stessi.
Dato rilevante è costituito dal fatto che la Convenzione riconosce l’ammissibilità di un mandato a cui il soggetto interessato può ricorrere, sia mediante apposito contratto sia mediante atto unilaterale, per l’ipotesi futura ed eventuale di sopravvenienza del proprio stato di incapacità o di limitata capacità.
La indicata Convenzione, ad oggi non è stata ancora ratificata dall’Italia. Qualora ciò si verificasse il nostro ordinamento potrebbe compiere un ulteriore salto di qualità nel rispetto della persona, della sua autonomia, dei suoi diritti e delle sue legittime aspettative in relazione al suo futuro, evitando indebite ingerenze.
Il richiamo alla Convenzione non esclude la considerazione che altre nazioni sia in ambito europeo che extracomunitario, come la Francia, la Germania, l’Austria, la Spagna, il Quebec, con largo anticipo hanno adottato istituti simili all’amministrazione di sostegno italiana, seppur con elaborazioni culturali di tipo diverso a quelle che hanno trovato sbocco in Italia.
Ancora importante è richiamare la “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (Nizza 7 dicembre 2000) che nel preambolo si esprime: “Consapevole del suo patrimonio spirituale e morale, l’Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà, l’Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. Essa pone la PERSONA AL CENTRO della sua azione istituendo la cittadinanza dell’Unione e creando uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”.
Ed ancora all’art. 3 rubricato “Diritto all’integrità della persona:
1. Ogni individuo ha diritto alla propria integrità fisica a psichica.
2. Nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:
Il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge, ….”
Ed ancora l’art. 25 “Diritti degli anziani” – “L’Unione riconosce e rispetta il diritto degli anziani di condurre una vita dignitosa ed indipendente e di partecipare alla vita sociale e culturale” e così l’art. 26 “Inserimento dei disabili – L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita di comunità”
Espressioni quelle della carta, che rivitalizzano quanto già assunto nel nostro dettato costituzionale.
Dato non trascurabile, nell’ambito della mutata coscienza e cultura della persona umana e della sua centralità è, almeno per la Regione Piemonte, la legge 8 gennaio 2004, n. 1, dove a chiare lettere si ripropone quanto enunciato nella carta dei diritti fondamentali e cioè il “Riconoscimento della centralità della persona quale prima destinataria degli interventi e dei servizi e del ruolo della famiglia quale soggetto primario e ambito di riferimento unitario per gli interventi e servizi medesimi…”
Così esprime: “1. Al fine di favorire il benessere della persona, la prevenzione del disagio e il miglioramento della qualità della vita delle comunità locali, la Regione programma ed organizza il sistema integrato degli interventi e servizi sociali secondo i principi di universalità, solidarietà, sussidiarietà, cooperazione, efficacia ed efficienza, omogeneità ed equità territoriale…..”
Oltre ai dati normativi regionali, nazionali e sovranazionali non può essere trascurato il fatto che in ambito internazionale altri paesi hanno già percorso altre vie in tema di tutela dei soggetti deboli e fragili, con elaborazioni culturali ed esperienze ultratrentennali, come la Francia e la Germania. Da segnalarsi le esperienze come quelle del Quebec (Canada Francese) dove trova apposita disciplina il mandato in previsione della propria incapacità, istituto rappresentativo dell’intendimento di accogliere la volontà dell’uomo, quale espressione sovrana della libertà dell’individuo e della sua capacità e legittima aspettativa di autodeterminarsi, qualunque siano gli accadimenti che caratterizzano la sua vita ( 1* nota).
Come sottolinea Calò (2* nota), l’Italia non ha ancora fatto una scelta di campo a favore del principio di autodeterminazione, disciplinando la materia del consenso informato, del testamento biologico e del mandato in previsione della propria futura incapacità. Nella stesura ed elaborazione del testo della legge 6/2004, un’attenzione al diritto comparato avrebbe potuto consentire l’introduzione di istituti e di dati forniti da altre esperienze di altri Stati, così da privilegiare in modo articolato e completo il principio cardine della libertà e della cosciente autodeterminazione.
L’unica apertura al riguardo la troviamo nella norma in commento all’art. 408 c.c. (scelta dell’amministratore di sostegno) primo comma “L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata….”
Per supplire a tale vuoto ancora presente nel nostro ordinamento potrebbe soccorrere la configurazione di un TRUST.
Come la dottoressa Maria Rosa Spallarossa (3* nota) osserva, direi in modo adeguato, che laddove si tratta di soggetti deboli, l’analisi va rivolta anche ai soggetti “non deboli”, nella prospettiva della loro futura incapacità.
L’istituzione di un Trust potrebbe predeterminare, a favore del costituente, Settlor, o di un terzo beneficiario, la gestione di un patrimonio e la sua amministrazione in funzione dei bisogni, aspirazioni culturali, personali, di vita (letture, teatro, sport, viaggi, vacanze, cure, collocazione…), così condizionando ed instradando l’intervento dell’autorità giudiziaria e dell’amministratore di sostegno o del tutore, successivi. Lo stesso autore con chiarezza dice: “…il trust permette di valorizzare l’autodeterminazione del soggetto beneficiario non solo per tutto il periodo nel quale egli è nella piena efficienza delle proprie capacità, ma anche di graduarla nella ipotesi di perdita progressiva di capacità fisiche o psichiche”.
Sottolinea ancora l’autore, che il trustee potrebbe essere investito di funzioni giuridiche comunque dirette a garantire adeguata ed elevata qualità della vita ed interventi diretti alla cura della persona, vista in tutta la sua dimensione: corporea, psichica, emotiva, relazionale e spirituale.
Quanto sopra esposto non vuol altro che far riflettere sui contenuti profondi della legge, che va vista quale anelito verso la persona, i suoi bisogni e le sue aspirazioni.
Una sorta di filosofia personalistica deve permeare la comprensione della legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno, quale diretta ad offrire strumenti complessi ed elastici in ausilio dei soggetti deboli che vedono menomate le proprie autonomie, pur conservando la capacità di compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze dettate dalla vita quotidiana.
Anche in quest’ottica non si può intendere l’amministrazione di sostegno quale istituto totalizzante e comprensivo anche di ipotesi di protezione a favore di soggetti da interdire o inabilitare.
La capacità dialogica è elemento caratterizzante il rapporto discendente dall’amministrazione di sostegno. Il beneficiario va sentito non solo nell’ambito del procedimento, ma nel corso della sua vita e le sue richieste, i suoi bisogni, vanno considerati sia pur compatibilmente con le esigenze di protezione dello stesso.
Si può pertanto concludere affermando che la configurazione dei diversi istituti, così come elencati nella prima parte del presente elaborato, offre riquadri importanti con cui operare a favore dei soggetti deboli, considerando le diversità delle fragilità e rispettando i diversi ambiti di applicazione giuridica degli istituti medesimi.
Note:
1* Vedi Egida, Raccolta atti Convegni 2003 – 2004 sul tema “Amministrazione di sostegno, profili di diritto comparato e progetto di legge”.
2* Emanuele Calò in “Amministrazione di sostegno Legge 9 gennaio 2004, n. 6” Giuffrè, Milano 2004, pag. 69.
3* TRUST e soggetti deboli, in “Il Trust nel Diritto delle Persone e della Famiglia”, ed Giuffrè, Milano 2003, pag. 143.
Capitolo 3
CONTENUTO DEL DECRETO, PRIME APPLICAZIONI.
OSSERVAZIONI CRITICHE AL DETTATO NORMATIVO IN ORDINE AD ASPETTI SOSTANZIALI.
La legge 6/2004 osservata nei suoi contesti sostanziali, rispetto a ciò che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno dovrà contenere, delinea un quadro articolato che può, nella sua traduzione pratica, rivelarsi insidioso, rispetto alle finalità della legge stessa, dove l’autonomia dev’essere la regola e le limitazioni l’eccezione.
Ma vediamo ciò che la legge indica:
“Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana” ( 2° c. art. 409 c.c.).
“Il decreto di nomina deve contenere l’indicazione: ……
3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario.
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno.
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con l’utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità.” (art. 405, 5° c.)
“Qualora ne sussista la necessità, il Giudice Tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio” (art. 405, 4° c.)
“Il Giudice Tutelare deve sentire personalmente la persona ….. e deve tener conto compatibilmente con le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di queste”. (art. 407, 2° c.)
“Il beneficiario conserva al capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno” (art. 409, 1° c.).
L’art. 411 c.c. (Norme applicabili all’amministrazione di sostegno). Nella formulazione il legislatore estende l’applicabilità, per quanto compatibili, degli artt. da 349 a 353 c.c. e da 374 a 388 c.c., mentre i provvedimenti cui agli artt. 375 e 376 c.c. sono di competenza del Giudice Tutelare, così come sono estesi, all’istituto in esame, gli artt. 596, 599 e 779 anch’essi per quanto compatibili.
Interessanti sono gli ultimi due comma dell’art.411, per cui sono valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno, se fatte a favore dei soggetti indicati ivi compresa la nuova figura introdotta, quella della “persona stabilmente convivente”, nonché la previsione per cui il Giudice Tutelare nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno o anche in un tempo successivo può estendere all’amministrazione di sostegno “effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato” sempre tenendo presente l’interesse del beneficiario.
Le norme appena richiamate sono, dunque, l’ambito entro cui muoversi per configurare un’adeguata protezione del soggetto beneficiario con la minore limitazione possibile della capacità di agire.
Ora si tratta di stabilire se il decreto deve considerare tutti gli atti in modo analitico elencando quelli che il soggetto beneficiario può compiere con la sola assistenza dell’amministratore, quelli che possono essere compiuti dall’amministratore in rappresentanza dell’amministrato e quelli che vanno autorizzati preventivamente dall’autorità giudiziaria, tenendo ben presente che per quanto non indicato il beneficiario conserva la capacità di agire.
Oppure configurare un decreto limitandosi ad indicare le categorie di atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, prevedendo che gli atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti con la sola assistenza dell’amministratore e gli atti di straordinaria amministrazione dal beneficiario con l’assistenza dell’amministratore e previa autorizzazione giudiziale o dal solo amministratore previa autorizzazione.
Nelle prime aperture di amministrazioni di sostegno ho visto depositare diversi decreti, ne prendo in considerazione due a titolo esemplificativo: un decreto dove vi è indicazione specifica di atti ed un altro dove il Giudice Tutelare si riferisce alle categorie degli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione con riferimento specifico agli atti di cui all’art. 374 et 375 c.c.
I decreti così si esprimono:
“Il Giudice Tutelare
Visto il decreto con il quale è stata dichiarata aperta l’amministrazione di sostegno (…dati relativi al decreto e generalità del beneficiario..)
Nomina
Amministratore di sostegno il sig. …( ) ..
Dispone
Che l’amministratore di sostegno abbia il potere di compiere, in nome e per conto del beneficiario, gli atti di ordinaria amministrazione, inclusi gli atti di straordinaria amministrazione del suo patrimonio, inclusi gli atti previsti dall’art. 375 c.c., previa per questi ultimi l’autorizzazione del Giudice Tutelare.
Dispone
Che il beneficiario possa compiere soltanto con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, e previa autorizzazione del Giudice Tutelare, gli atti di straordinaria amministrazione del suo patrimonio, inclusi quelli previsti dall’art. 375 c.c., previa autorizzazione del G.T.
Dispone
Che l’amministratore di sostegno proceda al sistematico incasso delle entrate pensionistiche; al prelievo delle somme necessarie al fabbisogno mensile della beneficiaria e ad apporre sui conti e sui beni del beneficiario il vincolo derivante dal presente provvedimento
Dispone
Che l’amministratore di sostegno debba riferire al G.T. …etc”.
“Il Giudice Tutelare
Visto il decreto con il quale è stata dichiarata aperta l’amministrazione di sostegno (…dati relativi al decreto e generalità del beneficiario..)
Ritenuta l’opportunità che l’Amministrazione di Sostegno provveda a verificare:
1. quali siano le condizioni di vita …..etc
Tutto ciò premesso, ribadito che il beneficiario mantiene la capacità di agire per gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno e cioè non espressamente vietati dal giudice tutelare ai sensi degli artt. 404 e ss. c.c.
Nomina
Amministratore di sostegno del sig. …( )..il sig. …( ) ..con i poteri e le funzioni qui di seguito specificate
Dispone
Che l’amministratore di sostegno abbia il potere esclusivo di compiere, in nome e per conto del beneficiario, previe specifiche autorizzazioni del Giudice Tutelare i seguenti atti:
riscuotere capitali di pertinenza del beneficiario;
acquistare beni, se non nei limiti di spesa di seguito consentiti;
contrarre mutui; stipulare locazioni;
alienare, iscrivere o cancellare ipoteche sui beni del beneficiario;
fare compromessi o transazioni, o accettare concordati;
promuovere giudizi;
accettare o rinunciare ad eredità, legati o donazioni;
dare in pegno o svincolare pegni su beni del beneficiario;
procedere allo scioglimento di comunioni o a divisioni o a promuovere i relativi giudizi sui beni del beneficiario;
procedere ad adempimenti fiscali e amministrativi
Dispone
che il beneficiario possa compiere solo con l’assistenza necessaria dell’Amministratore di Sostegno i seguenti atti:
assumere altre obbligazioni salvo che queste riguardino l’ordinaria amministrazione;
riscuotere l’importo dei redditi percepiti eccedente l’importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario;
…etc…..”
Se una prima osservazione è possibile effettuare e che da entrambi i decreti non emergono quali siano le richieste, i bisogni e le aspirazioni del beneficiario, anzi sia nei decreti di apertura che di nomina nulla si indica al riguardo. Vero che la norma non prescrive che il decreto deve essere esplicito al riguardo, ma ritengo che una traduzione di quelle che sono le specifiche richieste, bisogni ed aspirazioni del beneficiario sia doverosa, perché presupposto logico di quanto il Giudice dovrà disporre.
E’ possibile ritenere che, per non vanificare lo spirito della legge, nonché la filosofia personalistica che la sottende, devono emergere tutti i passaggi logici che sottostanno e reggono il decreto nel dispositivo e pertanto dato che lo stesso deve garantire il soddisfacimento dei bisogni, delle richieste ed aspirazioni del beneficiario, tutto ciò deve risultare in modo espresso, così come espressa deve essere l’indicazione che il G.T. ha indagato in modo completo al riguardo.
Si consideri che i bisogni e le aspirazioni del soggetto non necessariamente devono essere verbalmente espressi dal beneficiario, ma possono emergere dal contesto di vita e relazionale del soggetto nonché della sua storia e trascorsi.
In occasione di un evento formativo presso un consorzio di servizi sociali proprio connotando il concetto di doverosità per i servizi di proporre ricorso al G.T. o segnalazione al Pubblico Ministero, osservai come tale doverosità si esplica nella completezza dei dati forniti al Giudice. In altri termini, espressi che il soggetto, per cui appare doveroso il ricorso, dovrebbe essere “contestualizzato” nella realtà personale e relazionale in cui si trova, tutto nella prospettiva di un miglioramento della sua qualità di vita.
Indicando poi una traccia, prospettavo, in via schematica, i punti da osservare per offrire in modo completo i dati necessari perché il giudice possa pronunciarsi sul contenuto dell’amministrazione.
Lo schema può essere così espresso:
1. condizioni di vita del soggetto e sua abituale collocazione, con descrizione degli ambienti, anche con riferimento alla sicurezza degli stessi rispetto ai bisogni essenziali dell’assistito;
2. abitudini del soggetto;
3. richieste ed aspettative espresse dal soggetto;
4. notizie e dati relativi alla situazione patrimoniale personale, conosciuti;
5. condizioni di salute e bisogni di cure (possibilmente con idonea e completa documentazione medica). A tal riguardo è opportuno sottolineare la necessità di una reale integrazione dell’intervento dei servizi socio-sanitari sul territorio come condizione essenziale per rendere operativa e tempestiva l’amministrazione di sostegno. L’integrazione dei servizi è essenziale per realizzare programmi di intervento in cui la centralità della Persona sia rispettata. Si osserva che la documentazione medica non è richiesta dalla legge ma è dato imprescindibile per il Giudice Tutelare affinché possa provvedere con rigore e completezza. In ordine alla documentazione medica si suggerisce di far risultare dalla stessa non la sola certificazione della patologia, ma l’individuazione delle autonomie e competenze del soggetto che discendono da quel determinato quadro clinico;
6. indicare quale sia stato il programma di intervento già attuato a favore del soggetto per cui è proposto il ricorso;
7. indicare quali autonomie il soggetto esprime, quali abilità sono compromesse, e quali autonomie possono essere recuperate;
8. proporre progetti di sostegno sulla base di interventi già in corso, attivati o di possibile attivazione, indicando i costi eventuali e le risorse personali e sociali disponibili;
9. indicare la dimensione relazionale di cui il soggetto dispone.
Ritornando alla analiticità a mezzo del decreto in ordine agli atti da individuarsi, si può osservare che la scelta per l’analiticità del contenuto o si presenta in modo completo inserendo tutte le possibilità di atti configurabili nel nostro ordinamento o si corre il rischio di escluderne alcuni per cui può legittimamente configurarsi la capacità del beneficiario rispetto agli atti non indicati.
Nel secondo decreto riportato oltre ad una serie di atti, elenco non esaustivo, che l’amministratore di sostegno può compiere da solo previa autorizzazione, si dispone che il beneficiario possa compiere solo con l’assistenza dell’amministratore “i seguenti atti:
assumere altre obbligazioni salvo che queste riguardino l’ordinaria amministrazione;
riscuotere l’importo dei redditi percepiti eccedente l’importo di € 600,00 mensili, nella libera disponibilità del beneficiario;”
La genericità dell’espressione “assumere altre obbligazioni” precisando “salvo che queste riguardino l’ordinaria amministrazione” fa chiaramente pensare che l’espressione sia riferita comunque ad atti che rientrino fra quelli di straordinaria amministrazione (v. art. 1173 c.c.), pertanto non appare chiaro perché le “altre obbligazioni” non siano state annoverate fra il primo gruppo di atti, per cui è stato previsto il solo ed esclusivo potere dell’amministratore preventivamente autorizzato.
Portiamo due esempi per chiarire quanto sopra evidenziato.
Secondo quanto disposto dal Giudice il beneficiario potrebbe costituire una società in nome collettivo con la sola assistenza dell’amministratore, senza bisogno di alcuna autorizzazione preventiva, così come potrebbe stipulare un preliminare di vendita, con la sola assistenza, infatti tale tipo di contratto ha meri effetti obbligatori e non traslativi. Nel caso del preliminare come si potrebbe poi comportare il Giudice innanzi alla richiesta di autorizzazione ad adempiere?
Se poi si considera il disposto di cui all’art. 411 c.c., che le convenzioni fatte tra il beneficiario e l’amministratore di sostegno se questo è coniuge o parente entro il 4° grado o persona stabilmente convivente, sono, dice la legge, “comunque valide”, quel tipo di atto di straordinaria amministrazione non sarebbe inficiabile. – Ci soffermeremo dopo sugli effetti dell’art. 411 c.c. – e le questioni che sono proponibili data la formulazione dello stesso.
Altri due aspetti vanno sottolineati come problematici: quello relativo alle accettazioni di eredità e quello degli adempimenti fiscali.
Autorizzare l’accettazione di eredità ad esempio con beneficio di inventario non produce l’effetto di cui agli artt. 471 e 489 c.c. se questi non vengono espressamente estesi, così come consentito dall’art. 411 c.c. ultimo comma, da parte del G.T.
Vero è che tale estensione potrebbe sopraggiungere anche d’ufficio, in un tempo successivo al decreto di nomina ed in occasione dell’apertura della successione che vede l’amministrato quale chiamato, ma il rilievo non va trascurato, in difetto il beneficiario potrebbe decadere dal beneficio d’inventario per aver compiuto ad esempio atto dispositivo, senza preventiva autorizzazione, di bene mobile, pur se annullabile ex art. 412 c.c.
Problemi si potrebbero poi porre per gli atti dispositivi dei beni ereditari in ordine alla possibilità del G.T. di esprimere parere ex art.747 c.p.c. data la formulazione “Nel caso in cui i beni appartengano a incapaci deve essere sentito il Giudice Tutelare”.
In merito al secondo rilievo non si vede perché per gli adempimenti “fiscali” ed “amministrativi” se atti dovuti, questi debbano essere soggetti ad autorizzazione preventiva, così facendo pensare che il G.T. possa in linea teorica negarne l’autorizzazione.
Senza avere la pretesa di formulare tutte le osservazioni possibili, forse pare opportuno che nella stesura dei decreti si prendano in esame le categorie degli atti così come articolate nel cap. I del presente elaborato , valutando concretamente la possibilità di concedere la disponibilità di fondi per compiere gli atti di ordinaria amministrazione che per loro natura anche nell’ambito della Tutela non sono soggetti ad autorizzazione. Prevedere poi che alcuni atti di amministrazione ordinaria siano soggetti a preventiva autorizzazione vuol dire di fatto condurre l’amministrazione di sostegno ad essere più penalizzante rispetto all’interdizione. A tal riguardo occorre osservare che il primo decreto appare più aderente e meno problematico, pur se non scevro da possibili critiche, rispetto al secondo, infatti il Giudice Tutelare ha disposto che l’amministratore di sostegno possa compiere gli atti di ordinaria amministrazione inclusi gli atti previsti dall’art. 374, previa per questi ultimi l’autorizzazione del G.T. e che gli atti di straordinaria amministrazione inclusi di cui all’art 375 c.c. possono essere compiuti dal beneficiario assistito e previa autorizzazione.
Aspetto concreto da tener presente e che l’amministratore laddove autorizzato a compiere gli atti di ordinaria amministrazione deve poter disporre di snelli strumenti di pagamento, si pensi all’ordinaria amministrazione rispetto alla gestione di svariate proprietà immobiliari o stabili condotti in locazione da terzi, considerando che lo stesso è tenuto al rendiconto periodico il cui controllo e verifica è del G.T.. A tal riguardo ritengo opportuno evidenziare che gli istituti bancari non possono richiedere sempre l’autorizzazione preventiva a qualsiasi prelievo non potendo sapere e perciò adoperarsi ed interessarsi per conoscere se quella data operazione rientri nell’ambito ordinario. Ciò che la banca può pretendere è di essere certa dell’incarico e della funzione , ogni altra responsabilità rimane in capo all’amministratore o al tutore, solo questi sono ausiliari del Giudice e non l’istituto bancario stesso.
Quanto detto vale a maggior ragione per i casi in cui chiamato a svolgere la funzione di tutore o amministratore sia un professionista, non trascurabile al riguardo è la possibilità di operare con sportelli bancari virtuali, sarà il tutore e l’amministratore di sostegno a dover ricondurre la propria attività ad atti di ordinaria amministrazione o ad atti di straordinaria amministrazione, questi corredati delle dovute e prescritte autorizzazioni preventive.
Quanto sopra evidenziato può concludersi con due considerazioni:
a. essenziale è individuare i reali bisogni, le aspirazioni, sollecitando le richieste del beneficiario quali condizioni imprescindibili per articolare un decreto personalizzato;
b. individuare gli atti specifici rispetto ai bisogni dell’amministrato ponendo, al più, quali categorie generali finali gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, prevedendo ciò che può compiere il beneficiario con l’assistenza dell’amministratore con o senza autorizzazione, e ciò per cui è abilitato l’amministratore con o senza autorizzazione.
Per meglio marcare quanto poco adeguato possa essere un decreto comprensivo di tutti gli atti possibili, riporto il testo di una procura generale in nota, osservando come la stessa indichi che l’elenco è meramente esemplificativo e non tassativo.
Si tenga poi in considerazione che il decreto di nomina è un decreto suscettibile di integrazioni e modifiche nel tempo, al fine di renderlo il più aderente possibile alla persona del beneficiario.
Prima di procedere all’esposizione degli aspetti che possono apparire problematici in ordine all’applicazione dell’art. 411 soprattutto in tema di testamento e convenzioni, ritengo utile riportare quanto già avanzato nel convegno tenutosi l’8 maggio presso il Tribunale di Torino in tema di inventario ed accertamento patrimoniale, osservando da subito che tra gli elementi essenziali su cui fondare il decreto e le sue successive integrazioni, vi è la necessità di avere certezza del contenuto patrimoniale nella sua “accezione” che vado a configurare.
Nell’ambito della disciplina della tutela, l’articolo 362 c.c. prescrive espressamente che il tutore, nei dieci giorni successivi, a quello in cui ha avuto notizia legale della sua nomina, deve procedere all’inventario dei beni del soggetto incapace, termine ordinatorio quello indicato e non perentorio: non mi soffermo sul contenuto dell’inventario quale atto formale e pubblico, a cui si attribuisce, in quanto tale, pubblica fede fino a querela di falso. Intendo però portare l’attenzione al fatto che l’articolo appena richiamato dice “il tutore” compie l’inventario, evidenziando così che al tutore è attribuita la responsabilità dell’accertamento del contenuto patrimoniale del soggetto interdetto.
L’art. 363 c.c. prosegue indicando che “l’inventario si fa con il ministero del cancelliere del Tribunale o di un notaio delegato dal giudice tutelare………il giudice tutelare, prosegue il secondo comma, può consentire che l’inventario sia fatto senza il ministero del cancelliere o di notaio, se il valore presumibile non eccede euro 7,75.
Secondo un orientamento restrittivo, pur aggiornando con riferimento agli indici ISTAT detto importo ad oggi e così per un valore determinato pari ad euro 311,94, di fatto non sarebbe configurabile alcun esonero o meglio nessun tutore potrebbe evitare di ricorrere al ministero del cancelliere o del notaio per tradurre in atto pubblico l’inventario, così legittimando l’assurdo ricorso ad un atto formale il cui costo è superiore o comunque non proporzionato al patrimonio da accertare.
E’ però, possibile addivenire in via interpretativa al superamento di tale impostazione restrittiva, basandosi sul ragionamento che in altri settori la Cassazione ha manifestato sempre in tema di inventario e di funzione di alcuni soggetti quali ausiliari del giudice, data la valenza pubblicistica di alcuni istituti.
La Cassazione in tema di eredità giacente ha più volte affermato che il curatore, quale ausiliario del giudice laddove provvede ad accertare il patrimonio ereditario, pur non essendo un pubblico ufficiale, e dichiara ed afferma cosa costituisce patrimonio dell’eredità, esprime ed enuncia “atti che fanno pubblica fede”.
Ancora afferma la Cassazione che il notaio o il cancelliere che procedono alla redazione del verbale d’inventario, non godono di poteri d’imperio né di indagine, ma hanno la sola funzione di certificare ed attestare cosa e quanto rinvenuto in un dato luogo, “….l’attività diretta alla formazione dell’inventario ha carattere meramente descrittivo della situazione patrimoniale, quale risulta dalle carte e dalle note del defunto…..e la partecipazione del pubblico ufficiale comporta la prova della verità degli atti da lui compiuti e quindi dell’esistenza delle carte, scritture e note da lui reperite, ma non la rispondenza alla realtà fattuale delle risultanze delle scritture….” (Cassazione 1. 04.1983, n.2626) . Poteri d’indagine e di ricerca sono del curatore, il quale esperiti gli accertamenti chiede che vengano tradotti in verbale o comunque informa il Giudice della successione, non venendo comunque meno la valenza pubblicistica delle proprie dichiarazioni.
Assunto quanto sopra e traslandolo alla tutela, possiamo affermare con eguale vigore a quello espresso dalla Cassazione che la responsabilità dell’accertamento patrimoniale spetta al tutore e non ad altri. In una sessione del seminario, tenutosi presso il Tribunale di Torino, è stata affermata la valenza pubblicistica degli istituti posti a tutela della persona debole o incapace e proprio sulla base di tale assunto si può qualificare il tutore quale ausiliario del giudice, nella sua attività di accertamento patrimoniale, osservando pertanto che le sue dichiarazioni al riguardo hanno valenza pubblica, fanno pubblica fede. Ne discende, quale naturale conseguenza logica, che l’esclusione dell’inventario mediante il ministero del pubblico ufficiale può configurarsi, non con riferimento al valore del patrimonio ma, alla certezza dello stesso in quanto il verbale d’inventario per atto pubblico nulla aggiungerebbe a quanto accertato dal tutore.
Sottolineo ancora che la responsabilità del tutore al riguardo viene avvalorata dalla prescrizione del giuramento relativo alla sincerità dell’inventario.
L’inventario, con il ministero del pubblico ufficiale, potrebbe rendersi necessario laddove si rinvengano nel patrimonio arredi e gioielli di particolare importanza e rilevanza economica.
Possiamo dunque affermare con sufficiente certezza che non è mai configurabile l’esonero dal compiere l’inventario che comunque va eseguito, si può al più configurare al superfluità dell’ausilio del pubblico ufficiale dove il patrimonio sia certo.
L’inventario però non soddisfa ancora la necessarietà di ciò che può essere ricompreso in un accertamento patrimoniale anche letto nell’ottica di un recupero di tutto ciò che sia stato indebitamente sottratto al soggetto debole, al soggetto incapace.
Procedere all’inventario di un patrimonio già ridotto considerevolmente, da parenti, familiari, vicini, appare più come una farsa, che non come un vero atto di natura cautelare. Non è rara la circostanza di un erede che chiusa la tutela per decesso dell’interdetto, esaminando il rendiconto ne scopre la regolarità formale, ma constata come il parente arrivò all’interdizione già deprivato di rilevanti somme, mai inventariate e dichiarate.
Per evitare pertanto una forma di fariseismo giuridico, passatemi l’espressione, è necessario che nella fase di accertamento si proceda a ritroso nel quinquiennio precedente all’interdizione, utilizzando al riguardo gli artt. 428, 591, 775, 1425, 1427 ss, 1448 c.c., in tema di rescissione per lesione, di contratti aleatori. In materia successoria, o meglio per le successioni ereditarie, bisognerebbe procedere alla verifica di pretermissioni o di lesioni di quota della legittima nelle delazioni testamentarie. Anche tale diritto dovrebbe ricomprendersi nella fase di accertamento del patrimonio del soggetto sottoposto a tutela. Così come si dovrebbe verificare l’utilizzo delle disposizioni in tema di divisione disposta dal testatore, nonché delle norme in tema di rescissione della divisione per lesione oltre il quarto così come contemplato dall’art.763 c.c..
Solo mediante tale attività è possibile pensare ad una tutela sostanziale del soggetto incapace, per ridare al medesimo quanto possa garantire una vita dignitosa e non al limite della povertà. L’attività del tutore, dovrà essere supportata da una perizia, medico-legale, diretta ad accertare il momento in cui le facoltà di raziocinio e volitive dell’interdetto potevano dirsi compromesse.
Osservo ancora, per chi nutrisse dubbi sulla lettura offerta, che l’espressione “inventario dei beni”, va letta: “inventario del patrimonio”, nel patrimonio di un soggetto si rinvengono un complesso di rapporti giuridici che sicuramente ricomprendono il diritto di un soggetto di procedere con l’impugnazione di quegli atti che per le circostanze in cui vennero compiuti risultano di chiaro pregiudizio, in altri termini ogni soggetto ha il diritto di agire per la tutela di sè e del proprio patrimonio. Il diritto ad agire per l’annullamento di un contratto, di un atto, per la risoluzione o rescissione di un contratto, sono diritti accertabili e costituiscono sicuramente oggetto da ricomprendersi in un patrimonio.
Quanto affermato può connotare il concetto di doverosità di ricorso o segnalazione da parte dei servizi, perchè da contenuto all’espressione “a conoscenza di fatti tali”.
In questo, si può configurare la responsabilità del tutore, dell’amministratore di sostegno ed in via preliminare di tutti quei soggetti investiti dalla legge quali legittimati e tenuti ad adire l’autorità giudiziaria, senza per questo escludere una diretta responsabilità del Giudice tutelare, dati i poteri di vigilanza e azione d’ufficio prevista, questa ultima, in modo espresso dalla nuova normativa che andiamo commentando.
Sotto il profilo patrimoniale, anche l’accertamento a ritroso dovrà essere confortato da puntuali interventi peritali, su incarico d’ufficio o dietro richiesta del tutore o dell’amministrazione di sostegno.
Per concludere ritengo importante sottolineare che i procedimenti di volontaria giurisdizione sono retti dal PRINCIPIO INQUISITORIO e non dal PRINCIPIO DELLA DOMANDA, come per il procedimento contenzioso. Il Giudice è pertanto sganciato da quanto richiesto dal tutore o dall’istante, potendo superare ogni dato su cui è fondato il ricorso proprio in ragione del principio inquisitorio che regge l’intero procedimento.
La normativa che ha introdotto l’istituto dell’amministrazione di sostegno, non prevede in modo espresso l’obbligo per l’amministratore di sostegno di procedere all’inventario del patrimonio del beneficiario, limitarsi però a tale constatazione, come più volte è stato ribadito, nel seminario indicato, è fuorviante e contraddittorio rispetto alla necessità di articolare un progetto d’intervento e di sostegno adeguato a favore del beneficiario.
Opportuno è ripercorrere il dato normativo al fine di individuare i presupposti che giustificano un adeguato accertamento patrimoniale ed eventualmente un inventario formale e ciò anche alla luce dei graduati abbinamenti propostivi.
In via preliminare è essenziale osservare che la legge istituisce, si dice nella rubricazione della stessa in Gazzetta ufficiale, l’amministrazione di sostegno. Il termine amministrazione ha una valenza esclusivamente patrimoniale, quale logica conseguenza e che non si può compiere alcun atto di amministrazione di un patrimonio se non si conosce il contenuto dello stesso, di quali atti il giudice prevede l’intervento esclusivo dell’amministratore di sostegno in rappresentanza del beneficiario o prevede l’assistenza dell’amministratore, se in via preliminare non ne accerta il presupposto e cioè l’esistenza del patrimonio da amministrare e la cui amministrazione è funzionale alla qualità di vita del beneficiario e per cui la legge si pone a tutela dei suoi bisogni e aspirazioni.
L’art. 404 c.c. parla di “interessi”.
L’art. 405 c.c. in tema di competenza del Giudice tutelare ad emettere provvedimenti d’urgenza, distingue quelli diretti alla cura della persona, da quelli diretti alla conservazione e l’amministrazione del patrimonio del beneficiario. Osservo da subito che fra gli atti di natura conservativa e cautelare si può annoverare anche l’inventario o comunque l’accertamento del patrimonio che l’amministratore di sostegno dovrebbe essere chiamato a compiere.
Osservo ancora che il concetto di conservazione è un concetto che non va letto nella sua valenza negativa e statica, ma nella sua valenza positiva e dinamica a tal punto che anche l’atto di alienazione di un bene può assumere un significato conservativo rispetto all’intero patrimonio. Il Tribunale di Torino in un caso specifico ammise la natura conservativa della singola alienazione rispetto all’intero patrimonio, in via esemplificativa si pensi al manufatto immobiliare cadente ed in pessime condizioni manutentive tali da paventare il serio rischio di danni a terzi ed il progressivo svilimento economico dello stesso ed in assenza di liquidità per gli interventi di ripristino.
Atto di natura conservativa è l’apposizione di sigilli, che per la rimozione deve essere seguito da inventario formale.
L’art. 407 comma 3° si esprime “ Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni…..” e le informazioni devono essere necessariamente anche di natura patrimoniale, in difetto il decreto sarebbe monco, perché di amministrazione non si potrebbe parlare ma, solo di sostegno………… .Prosegue “Dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e di tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione”.
Quali sono gli altri mezzi istruttori utili? Sicuramente si possono disporre perizie dirette ad accertare il contenuto patrimoniale al fine di verificare l’eventuale maltolto giustificando l’amministrazione di sostegno per promuovere eventuali azioni civilistiche che diversamente il soggetto beneficiario non sarebbe in grado si sostenere. Ricordo il caso di una signora ormai pensionata, che colpita da ingravescente demenza senile, consentì delega sui suoi conti ai nipoti, che a colpi di prelievi allora anche di £ 10.000.000 settimanali hanno ridotto la zia quasi in povertà, con sfratto in corso perché morosa, ormai deprivata non solo del patrimonio ma della dignità di una vita decorosa, igienicamente adeguata ed ambientalmente idonea.
I nipoti richiesti non ricordavano i motivi dei prelievi, così affermarono e si limitarono ad indicare che la zia era generosa.
L’art. 411 (Norme applicabili all’amministrazione di sostegno) afferma che i provvedimenti di cui agli articoli 375 et 376 sono emessi dal giudice tutelare ed ancora all’ultimo comma prevede: “IL GIUDICE TUTELARE, NEL PROVVEDIMENTO CON IL QUALE NOMINA L’AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO, O SUCCESSIVAMENTE, PUO’ DISPORRE CHE DETERMINATI EFFETTI, LIMITAZIONI O DECADENZE, PREVISTI DA DISPOSIZIONI DI LEGGE PER L’INTERDETTO E L’INABILITATO, SI ESTENDANO AL BENEFICIARIO DELL’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO, AVUTO RIGUARDO ALL’INTERESSE DEL MEDESIMO ED A QUELLO TUTELATO DALLE PREDETTE DISPOSIZIONI.”
Quanto riportato include sicuramente l’ipotesi dell’inventario e degli accertamenti patrimoniali in genere, norma che va riletta alla luce del percorso ermeneutico che ho rappresentato in tema di inventario di tutela.
Ritengo che con tranquillità si possa affermare che un completo provvedimento di apertura di amministrazione di sostegno non possa prescindere da un adeguato accertamento patrimoniale che per le forme si può spingere fino al formale inventario redatto con il ministero del cancelliere o del notaio.
Richiamo la puntuale osservazione della dottoressa Turino che nel citato convegno ha affermato: “La messa a sistema della domiciliarità inderogabilmente:……..richiede la definizione dei criteri di reddito e dei limiti di spesa a carico comunale (essendo la possibilità di intervento da parte dell’ente pubblico limitate devono necessariamente tenere conto delle condizioni di povertà o ricchezza del soggetto, garantendo priorità ai meno abbienti)”.
Da parte di uno dei nostri senatori promotori della legge 6/2004, ho sentito affermare che per avere contezza del patrimonio del beneficiario sarà sufficiente sentire le persone legittimare ad intervenire nel procedimento: direi che assunto quanto sopra la soluzione prospettata dal senatore appare riduttiva e lontana dalla complessa e variegata realtà dei casi che la vita propone, il senatore parlava definendo l’amministrazione di sostegno di diritto mite, elastico definizioni sicuramente entusiasmanti, ma limitare la fase di accertamento ad una mera richiesta ai parenti o al convivente appare riduttiva e pericolosa se non soddisfa il bisogno di certezza che sottende al nuovo istituto introdotto.
Avviandomi alla conclusione di questo breve elaborato non posso evitare di soffermarmi sull’art. 411 c.c. e sulle possibili incongruenze ed effetti della previsione normativa.
Il legislatore usando l’espressione “per quanto compatibili” richiama ed estende all’amministrazione gli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388 nonché gli artt. 596, 599, 779 c.c.
Affermando al 3° comma che “sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno” che sia parente entro il quarto grado del beneficiario ovvero sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
L’art. 591 c.c. in materia di capacità di testare, enuncia che non sono capaci di testare gli interdetti per infermità di mente e che possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge. Tale disposto non è richiamato dall’art. 411 c.c. e pertanto non applicabile al soggetto beneficiario dell’amministrazione di sostegno a cui è concessa la capacità di testare. Ma ci si può chiedere se il giudice possa escludere la capacità di testare del beneficiario direttamente con un suo provvedimento, o con diversa tecnica.
Il fatto che l’art. 411 preveda la validità delle disposizioni testamentarie, in ogni caso, se fatte a favore dei soggetti indicati, consente di configurare l’ipotesi che tale capacità possa essere ablata e che qualora il testatore versasse in condizioni tali da veder compromessa e viziata le sua volontà, che in tema di testamenti deve essere sovrana ed autonoma, il testamento è comunque valido se fatto a favore di quei determinati soggetti, se amministratori di sostegno.
Quale tecnica potrebbe usare il G.T. per poter ablare la capacità di testare del beneficiario dell’amministrazione di sostegno?
L’art. 411 c.c. ultimo comma prevede che il Giudice tutelare possa, o con il decreto di nomina o successivamente, disporre effetti, limitazioni o decadenze previsti per l’interdetto. In altri termini il G.T. potrebbe, in linea teorica, estendere gli effetti di cui all’art. 591 c.c., ciò però potrebbe far scattare la necessità di segnalare al Pubblico Ministero per l’avvio del procedimento di interdizione, assimilando, con un provvedimento del genere, il beneficiario all’”infermo di mente”.
Comunque si voglia risolvere la problematica sollevata, rimane la scelta di campo fatta dal legislatore con l’espressione “sono in ogni caso valide”. A tal riguardo osservo però che tale espressione rende incompatibile la norma (Art. 596 c.c.) per il beneficiario dell’amministrazione di sostegno, perché l’art. 411 c.c. ultimo comma è di portata più ampia, non ponendo i limiti di cui all’art 596 c.c. e quindi le nullità previste.
Sempre in tema di testamento v’è da chiedersi se l’amministrato in preda ad una alterazione psichica momentanea decida, nelle sue ideazioni, di formulare un testamento a favore del parente amministratore e si rechi dal Notaio chiedendo di riceverlo in forma pubblica, il Notaio lo potrà ricevere perché comunque la disposizione è fatta salva dalla norma (art. 411 c.c.) ed ancora se si configurasse l’ipotesi dell’amministrato a cui è stata ablata la capacità di testare, può il Notaio con tranquillità ricevere l’atto perché fatto salvo nei casi previsti dall’art. 411 c.c.?
Ancora da non trascurare, sempre in tema di testamento del beneficiario, la nuova previsione che fa salve le disposizioni di ultima volontà fatte a favore di chi convive stabilmente e riveste l’ufficio di amministratore di sostegno. Il Notaio chiamato a ricevere il testamento a favore di tal soggetto come potrà avere la certezza della stabile convivenza? Convivenza è quella more uxorio, quella omosessuale, quella di due amici che condividono interessi, passioni, ed eventuali comproprietà? E qualora la convivenza cessasse dopo la redazione del testamento, questo è valido comunque? ( 4*nota)
Altre problematiche sorgono sul termine “CONVENZIONE” sempre nell’ambito operativo dell’art. 411 c.c. , 3°c.
Cosa si intende per “convenzione”? Qui il legislatore ha dato materia di discussione sia per la dottrina che per la giurisprudenza.
Quando parla di convenzioni, si riferisce a qualsiasi contratto?
In dottrina, nel commento all’art. 388 c.c. richiamato dall’art. 411 c.c. ritiene che il termine convenzione possa essere tradotto “in qualsiasi atto negoziale”. (5*nota)
Anche per l’ipotesi della “convenzione” vale quanto detto in tema di testamento rispetto all’art. 779 in quanto l’espressione “sono in ogni caso valide” ha portata più ampia dell’articolo richiamato in tema di donazione.
Un rilievo ulteriore necessita farlo rispetto al richiamato art. 378 c.c. rubricato “Atti vietati al Tutore ed al Protutore”.
La previsione che le “convenzioni”, quindi ogni atto negoziale, fatte a favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado, coniuge o persona stabilmente convivente, sono “in ogni caso valide”, vanifica il divieto di cui all’art. 378 c.c., richiamato dall’art. 411 c.c..
Le implicanze dell’art. 411 c.c. sono numerose e di non immediata lettura anche con riferimento alle così dette “preclusioni di diritto”, di cui si trova traccia nei lavori preparatori.
Il tema però necessita di un ulteriore elaborato che seguirà.
Note:
4* Giancarlo Marcoz, “Riflessioni in tema di amministrazione di sostegno” nn. 5-6-7,
15-31 marzo 15 aprile 2004, da “IL NOTARO”, periodico quindicinale, Roma.
5* Comm. UTET, v. “Delle persone e della famiglia”, Stella Richter – Sgroi.
Dispositivo di procura generale:
affinchè in nome e vece della comparente suddetta compia tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione di seguito elencati in via puramente esemplificativa e non tassativa.
Pertanto la nominata procuratrice potrà in rappresentanza della comparente suddetta:
1°/ Acquistare, vendere anche con patto di riscatto, permutare, conferire in società costituite e da costituirsi, alienare in genere beni immobili e beni mobili ivi specificatamente compresi gli autoveicoli e ogni altro bene mobile registrato, crediti, diritti, azioni, ragioni ed eredità, convenire il prezzo di ogni vendita, esigerlo o versarlo, anche accordando dilazioni di pagamento, rilasciare quietanza convenire tutti i patti relativi, rinunciare all’ipoteca legale, depositare ed accettare regolamenti di condominio e planimetrie generali di edifici o di complessi immobiliari, sottoscrivere convenzioni edilizie e regolamenti urbanistici o di rapporti di vicinato.
2°/ Stipulare, prorogare, risolvere, rinnovare per qualunque durata locazioni ed affitti, ivi comprese le locazioni finanziarie di ogni tipo e specie, riscuotere i canoni ed i corrispettivi convenuti, dare licenze e procedere a sfratti.
3°/ Fare qualsiasi operazione bancaria attiva e passiva presso qualunque banca ed istituto di credito, relativa a conti correnti, depositi, cassette di sicurezza, assegni, titoli e valori di ogni specie, eseguendo prelevamenti in conto corrente, procedendo ad aperture di cassette, prelevandone il contenuto, sottoscrivendo moduli bancari ed autorizzazioni a procedere, senza limitazione alcuna di poteri e con esonero per le banche e gli istituti di credito da ogni responsabilità al riguardo, aprire ed operare su conti correnti di ogni tipo e specie e depositi in genere, fare qualunque operazione anche di alienazione, di tramutamento, di vincolo e di svincolo sui titoli del debito pubblico e delle azioni societarie, siano esse quotate al mercato borsistico nazionale ed internazionale ed al ristretto.
4°/ Assumere obbligazioni anche in via solidale, stipulare contratti di assicurazione, comodati, depositi, costituirsi fidejussore, contrarre mutui e finanziamenti di qualsiasi specie con o senza concessione di garanzia ipotecaria nei confronti di banche, enti, casse di risparmio, istituti di credito, firmando ogni atto di impegno anche cambiario al riguardo, accettando tutte le clausole, vincoli, oneri, patti, condizioni che venissero richiesti dal mutuante, consentire trascrizioni di tali vincoli ed oneri.
5°/ Rilasciare quietanze, liberazioni e scarichi di ogni specie per somme e valori con esonero per i paganti da ogni responsabilità al riguardo.
6°/ Acconsentire per qualunque titolo alla costituzione, cancellazione e restrizione di ipoteche ed a qualsiasi annotamento ipotecario, rinunciare alle ipoteche legali, sollevando i conservatori da ogni responsabilità.
7°/ Acconsentire alla costituzione, restrizione ed estinzione di pegni.
8°/ Costituire, modificare ed estinguere servitù attive e passive, comunioni, usi, abitazioni, usufrutti, rendite perpetue e vitalizie, vincoli edilizi nei confronti di privati e di pubbliche autorità, regolare rapporti di vicinato.
9°/ Stipulare contratti impegnativi nei confronti di terzi, siano essi persone fisiche o giuridiche, stipulare novazioni e ratifiche, rinnovare, rescindere, risolvere, cedere contratti in corso, pagare debiti, farne rimessione, accettare e convenire compensazioni, accettare delegazioni di pagamento e fare qualsiasi impiego di capitali stabilendone le modalità.
10°/ Stipulare contratti di appalto con privati e con enti privati e pubblici.
11°/ Emettere, girare, avallare, riscuotere, accettare cambiali dirette, tratte e qualsiasi altro titolo all’ordine.
12°/ Transigere, compromettere in arbitri, nominare amichevoli compositori.
13°/ Accettare eredità con o senza beneficio d’inventario, rinunciare alle stesse, procedere ai dipendenti atti di conservazione e liquidazione ed inventario, presentare denunce di successione e di riunione di usufrutto alla nuda proprietà, stipulare atti di dilazione al pagamento delle tasse di successione consentendo ogni opportuna garanzia anche ipotecaria.
14°/ Intervenire alle assemblee ordinarie, straordinarie e speciali di società ed enti di ogni tipo e specie, esercitando nel modo più ampio il diritto di socio e di obbligazionista o di consorziato, ivi compresa la facoltà di esercitare il diritto di recesso e di partecipare ad ogni tipo di deliberazione ritenuta opportuna o necessaria.
15°/ Fare ricorsi, domande, dichiarazioni e denunce a nome e nell’interesse della suindicata comparente, presso qualsiasi autorità tributaria, amministrativa, previdenziale, ente statale e parastatale, pubblici registri automobilistici, aerei e marittimi, fare qualsiasi operazione presso gli uffici postali, ritirare ed esigere da qualsiasi ufficio pubblico qualunque genere di merci, valori somme, vaglia, buoni del tesoro, assegni su banche, tesorerie e casse, ritirando e sottoscrivendo registri per raccomandate ed assicurate.
16°/ Stare in giudizio in proprio, nella sua veste di avvocato o comunque a mezzo di avvocati e procuratori in ogni sede e grado spiccando citazioni, chiedendo ed accordando rinvii, tentando ogni mezzo di prova, sollevando incidenti e resistendo agli stessi, appellando sentenze, promuovendo giudizi di opposizione e revocazione, chiedendo ingiunzioni e opponendosi alle stesse, procedendo o resistendo a precetti, presentando note, istanze, documenti, rappresentando la suindicata comparente in ogni causa attiva o passiva promossa o da promuoversi avanti qualsiasi autorità giudiziaria ed amministrativa con tutte le facoltà inerenti alla procura generale alle liti anche non sopra elencate, compresa quella di transigere e conciliare, promuovendo anche espropriazioni immobiliari, pignoramenti, procedure esecutive e conservative, sequestri anche presso terzi, acconsentirne la revoca, agire in via possessoria e petitoria, curare l’esecuzione di giudicati.
17°/ Fare denunce per le imposte dirette ed indirette, nonché per tributi locali, controllare le iscrizioni di tassa nei ruoli, rappresentare la suindicata comparente presso qualsiasi autorità ed ufficio fiscale o finanziario, per ogni tipo di imposta diretta o indiretta, erariale o locale, stipulare atti di adesione, ricorrere contro gli accertamenti avanti alle commissioni competenti, appellare contro le decisioni di dette commissioni, sostenere ogni ragione della suindicata comparente in qualsiasi sede fiscale e finanziaria, facendo in genere, a sostegno degli interessi fiscali della rappresentata tutto quanto opportuno e necessario senza limitazioni di poteri.
18°/ Assumere e licenziare dipendenti, rappresentare la detta comparente avanti a qualsiasi ufficio ed autorità sindacale, mutualistica ed assicurativa, ivi compresi gli uffici per contributi unificati.
Compiere ogni pratica presso istituti previdenziali autorizzati o uffici postali.
19°/ Eleggere domicilio presso qualunque persona, ente, autorità.
20°/ Trasferire sedi ed indirizzi di sedi sociali, istituire sedi secondarie, amministrative, succursali o filiali della società, modificare l’oggetto sociale, adeguare i patti sociali o lo statuto in caso di morte di un socio, nominare o revocare amministratori e sindaci, fare in genere qualsiasi modificazione statutaria nell’interesse della o delle società rappresentata.
21°/ Cedere azioni o quote societarie, intervenendo ai relativi atti di cessione, determinandone il prezzo, rilasciandone quietanza ed apponendo in genere ogni patto o clausola all’uopo opportuno o necessario, anche con specifico riferimento alle leggi vigenti in materia.
22°/ Compiere qualsiasi operazione presso istituti previdenziali, casse o uffici postali competenti allo scopo di incassare ratei di pensione dovuti, arretrati, rimborsi ed ogni altra riscossione di somme dovute a titolo previdenziale o risarcitorio.
23°/ Provvedere ad ogni incombenza in relazione alla regolarità urbanistica ed edilizia di beni immobili, richiedere condoni o dichiarazioni in sanatoria, fare istanze e richiedere autorizzazioni urbanistiche, stipulare vincoli edilizi, richiedere concessioni o licenze.
24°/ Ricorrere per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno in nome e per conto della comparente presso il Tribunale di competenza, con facoltà di reclamare l’eventuale provvedimento adottato dal Giudice Tutelare presso la Corte d’Appello.
Compiere ogni atto anche di natura istruttoria nell’ambito del procedimento relativo all’amministrazione di sostegno di cui la comparente potrebbe essere beneficiaria.
Il tutto senza limitazione alcuna di poteri, sotto gli obblighi di legge e con obbligo di rendiconto.
Reale dott. Giuseppe
Studio notarile Lobetti Bodoni di Torino
già Giudice Tutelare Onorario presso il Tribunale
di Torino sede e sez. distaccata di Ciriè
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