Banche: poteri e doveri di iniziativa tra rispetto dei regolamenti interni e buona fede contrattuale, AVV. Marco Vorano.
Una doverosa premessa iniziale: auspicio del presente contributo è quello di offrire alcuni spunti di riflessione, dei flash, su un argomento – in generale rapporti tra istituti di credito e consumatore, per di più nel caso di specie consumatore particolarmente debole – di estrema attualità che necessiterebbe per una descrizione, pur sommaria, di una relazione di almeno una giornata intera.
1) Buona fede
Il codice civile menziona per più di 80 volte il principio della buona fede senza mai provvedere però ad una completa definizione: si è soliti distinguere tra buona fede soggettiva e quella oggettiva a seconda che si pretenda un comportamento “corretto” dell’ agente proiettato nel suo foro interno o esterno.
Nell’ analisi del tema in esame certamente quella che rileva è la buona fede oggettiva: cioè quel comportamento che si concretizza nel diligente agire nel rispetto delle regole in particolare dei regolamenti interni dell’ istituto di credito.
Il neminem laedere brocardo che esplica sinteticamente la buona fede soggettiva non rientra pertanto nell’ esposizione odierna.
Specificato, dunque, in quale cornice si estrinseca il presente intervento, è necessario tratteggiare i protagonisti della vicenda: banca, beneficiario e amministratore.
Quindi di primo acchito un rapporto bilatero che vede contrapposti – talvolta e purtroppo- due parti: banca // persone fisiche.
Ma – e in realtà – l’ esperienza insegna che l’ identificazione di un unico centro di interesse, la banca, è profondamente errata in quanto questa è a sua volta suddivisibile in persona giuridica, la società, e persona fisica, dipendente che sta dietro lo sportello: esemplificando non sussiste coincidenza tra la buona fede contrattuale che si richiede da parte della banca e dell’ impiegato della stessa.
Così, i centri di interesse non sono certamente due ma tre o forse quattro: la buona fede della banca, quella del dipendente che si rapporta quotidianamente con il pubblico quella del Ads e al limite anche quella del beneficiario, da cui rapporto trilatero o forse quadrilatero.
Esaminando la medesima storia – rapporto tra regolamenti interni e buona fede – utilizzando gli “occhi” dei protagonisti di questa vicenda si può affermare che, per ciò che concerne la:
A) Banca
la buona fede si concretizza nell’ adozione di regolamenti, sia interni cioè rivolti ai propri dipendenti sia esterni, rivolti all’ utenza e nel caso specifico ad una particolare connotata da una significativa fragilità, ideati in modo tale da non “uniformare con la mannaia” posizioni soggettive diametralmente diverse; in una parola plasmando le regole su quella che effettivamente è la realtà di determinate categorie di soggetti mediante una attenta differenziazione delle diverse situazioni. Concretamente, ed in modo assai semplice, posto che chiaramente la condizione di un soggetto sottoposto all’ amministrazione di sostegno è diversa da quella di un “normale” cliente, dovrebbero sussistere tutta una serie di strumenti bancari e finanziari che tengono conto della predetta realtà.
Ma a fronte di questa ovvietà, che nella sua banalità assume connotati quasi lapalissiani, ad oggi non esiste alcun conto corrente, per esempio, dedicato all’ Amministrazione di Sostegno. ( E ci si chiede anche il perché visto il numero elevato dei beneficiari e visto che la raccolta del risparmio-liquidità rappresenta fenomeno che oggi sembra essere centrale per la maggior parte delle nostre banche);
B) Dipendenti banca
Sono i personaggi che paradossalmente ritengo rivestire l’ aspetto più critico e delicato in tema di buona fede forse anche più del beneficiario.
Mi spiegherò ricordando brevemente un caso effettivamente verificatosi.
I protagonisti: Tizio paraplegico, costretto a muoversi in carrozzina, settantenne beneficiario e Tizia moglie coetanea e A.d.S. di Tizio, entrambi vivono in un piccolo centro del veneziano.
Sono correntisti da circa 30 anni dello stesso istituto di credito seguiti più o meno da 15 anni dallo stesso funzionario.
Un dì a causa di lavori di restauro alla porta riservata ai soggetti in difficoltà dell’ istituto di credito, Tizio non riuscì ad entrare nella banca per cambiare un proprio assegno.
Entrava così Tizia e rivolgendosi all’ amico funzionario chiedeva all’ultimo di provvedere a cambiare l’ assegno intestato al marito che aveva provveduto alla girata dallo stesso ma non davanti al cassiere bensì fuori dalla banca essendo stato impossibilitato ad entrare per i lavori alla porta di ingresso.
Il funzionario che attraverso la porta a vetri aveva visto tutta la scena, cambiava l’ assegno nonostante la girata non fosse stata effettuata alla sua presenza.
Seguitamente a detta condotta e a causa di una spiata di un collega particolarmente invidioso, veniva pesantemente sanzionato, per non aver rispettato il regolamento interno in materia di girate che prevedeva che la detta operazione doveva essere effettuata davanti all’ impiegato della Banca.
Il funzionario ha sicuramente agito in buona fede non rispettando il regolamento e esponendosi alle sanzioni previste, ma si potrebbe argomentare che un diverso funzionario che non desse seguito alla richiesta, possa essere definito poco corretto?
A parere dell’ esponente no.
Quindi a quale conclusioni si deve arrivare:
1) la maggior parte delle volte, certo vi sono sempre eccezioni, l’ adozione di comportamenti scorretti non è imputabile alla persona fisica bensì al regolamento che impone, al fine di eliminare in radice qualsiasi rischio pecuniario per la banca, pena sanzione, comportamenti del tutto irrazionali ed in palese contrasto con l’ astratto concetto della buona fede, ai propri dipendenti;
2) non è possibile pretendere in presenza dei detti regolamenti da parte della dipendenza degli istituti di credito, condotte che debbono forzatamente esser qualificate come “eroiche”;
3) una sorta di impotenza, anche giuridica, da parte dell’ utenza davanti a comportamenti pedissequi al regolamento e totalmente irrazionali. L’ unico rimedio, radicalmente metagiuridico e riservato ai soli possidenti, che viene in mente è la famosa telefonata al direttore di filiale dell’ istituto di credito: “Caro Direttore sa cosa è successo ieri a mio padre….estinguo il conto e vado nella banca al di là della strada”. Rimedio che sembra però essere calzante più ad una commedia di De Sica- padre- piuttosto che ad una realtà di civiltà giuridica;
C) Amministratore di sostegno // Beneficiario
in questa prospettiva di probabile contrapposizione in cui si trova l’ effettivo contraddittore dell’ amministratore – il funzionario di banca – e del beneficiario (in quanto auspicabilmente schiacciato tra comportarsi secondo la propria coscienza e il rispetto del regolamento interno), forse sarebbe preferibile che questi ultimi non appesantissero il delicato rapporto con richieste – ovviamente nel limite del possibile- impreviste e imprevedibili, ma avendo cura di presentarsi da subito all’ istituto di credito, illustrando ai funzionari incaricarti le particolari esigenze e necessità che verosimilmente si appaleseranno nel corso del rapporto.
2) Doveri di informazione
Il quesito è il seguente: la banca ha un obbligo di tutela nei confronti del beneficiario?
Deve, pertanto, informare l’ amministratore di sostegno o addirittura il giudice tutelare di eventuali comportamenti anomali del beneficiario?
In sostanza e paradossalmente, la banca risulta essere effettivamente un mero bancomat oppure è uno strumento di controllo che si affianca all’ amministratore di sostegno a “beneficio del beneficiario”?
L’ ipotesi del biondo aitante badante che mensilmente porta all’ incasso assegno consistente a sé intestato a firma del beneficiario dovrebbe far suonare un campanellino d’ allarme e quindi imporre al funzionario dell’ istituto di credito di notiziare l’ a.d.s, in ipotesi o i parenti del beneficiario?
L’ argomento è chiaramente spinoso in quanto sottende alla possibilità di limitare la libertà di un soggetto, libertà non sottoposta ad alcun provvedimento restrittivo da parte dell’ Autorità Giudiziaria.
Mettiamo sul piatto della bilancia:
1) il desiderio dell’ arzilla vecchietta di vivere appieno la propria senilità;
2) le preoccupazioni dei parenti (preoccupati più del loro interesse?);
3) l’ amministratore di sostegno che sa ma nulla può in quanto tale aspetto esula dall’ incarico conferitogli dal Tribunale;
4) l’ imbarazzo del coscienzioso funzionario di banca che avverte un disagio derivante dall’ anomala situazione e non sa che fare: avvertire i parenti, l’ A.d.S, il Giudice tutelare con il rischio concreto che a causa della segnalazione l’ arzilla vecchietta ritiri i propri risparmi dal conto e li destini al concorrente istituto di credito?
5) la banca che comunque censurerebbe il comportamento del proprio dipendente perché o eccedente i propri compiti (la segnalazione) oppure poco attento (omessa segnalazione: insomma il playboy travestito da badante incassava (accaduto in provincia di Venezia) ben 5000 mila euro al mese).
La risposta deriva chiaramente dalla propria formazione socio-culturale sicchè un ipotetico Don Giovanni non avrebbe dubbi nel stigmatizzare la condotta liberticida del coscienzioso impiegato di banca che fa la “spia”; diversamente non avrebbe dubbi Charles Bovary, nel denunciare – chissà con quale esito- la condotta poco diligente della Banca nella persona del proprio dipendente; il solo o meglio la sola che come un vecchio saggio “guarderebbe il corpo del defunto (chiunque esso sia) trascinato dalla corrente del fiume comodamente seduto sulle riva” sarebbe la Banca che quasi sempre, e mai come oggi, ci guadagna sempre.