Giudice presso il Tribunale di Verona e collaboratore, quale cultore della materia “Diritto processuale civile” presso il Dipartimento giuridico dell’Università degli Studi di Milano Bicocca.
Relatore in numerosi incontri di studio e conferenze nazionali e internazionali.
Autore di diverse pubblicazioni in materia di diritto processuale e di protezione dei soggetti deboli.
Si segnalano le monografie:
– L’espropriazione forzata immobiliare dopo la legge 14.5.2005, n. 80 Giuffrè ed. 2005, 2006
– Il giudice tutelare e la protezione dei soggetti deboli Giuffrè, 2007;
– I procedimenti penali in camera di consiglio Cedam, 2010
QUI IL VIDEO DELL’INTERVENTO – (disponibile dal 15.4.2014)
“La procedura: reclami e invalidità”
1. L’impugnazione del decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno – 2. L’impugnazione del decreto di designazionedell’amministratore di sostegno – 3. La competenza a decidere il reclamo avverso i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno – 4.L’impugnabilità delle autorizzazioni del giudice tutelare – 5. Il regime degli atti: le ipotesi di invalidità più ricorrenti – 6. L’annullamento degli atti
1. – L’impugnazione del decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno
L’art. 720-bis c.p.c., nel disciplinare il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, prevede – al comma 2 – che “contro il decreto del giudice tutelare è ammesso reclamo alla corte d’appello a norma dell’art. 739” e – al comma 3– che “contro il decreto della corte d’appello pronunciato ai sensi del secondo comma può essere proposto ricorso per cassazione”.
Viene così delineato un sistema di impugnazionianalogo a quello già vigente in tema di interdizione e inabilitazione.
Queste previsioni appaiono quanto mai opportune e sono pienamente giustificate anche sotto il profilo costituzionale, alla luce dell’art. 111 Cost. Vengono infatti assicurate le necessarie garanzie per tutte quelle ipotesi in cui il giudice tutelare, con il decreto che dispone l’amministrazione di sostegno, dà disposizioniche incidono sulla capacità di agire dell’interessato con effetti analoghi a quelli propri dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Per ciò che concerne il reclamo, il rinvio all’art. 739 c.p.c. attiene alle forme del procedimento – in camera di consiglio – e al termine perentorio di dieci giorni per la proposizione del gravame.
Per il resto la disciplina dell’art. 739 (reclamabilità dei decreti del giudice tutelare avanti al tribunale e non ulteriore reclamabilità del decreto emesso in sede di reclamo) è sostituita da quella speciale di cui all’art. 720-bis c.p.c.
Sul punto anche la Corte di Cassazione haconfermato che l’art. 720-bis, comma 2, c.p.c. “prevede espressamente che il reclamo contro il decreto, con cui il giudice tutelare si pronuncia in ordine alla relativa istanza, sia proposto non dinnanzi al tribunale, bensì alla corte d’appello, disposizione che, pertanto, prevale, avendo carattere speciale, su quella generale risultante dagli art. 739 c.p.c. e 45 disp. att. c.c.”.
La legittimazione all’impugnazione (reclamo o ricorso per cassazione) va riconosciuta a tutti i soggetti che avrebbero avuto diritto di proporre la domanda (compreso quindi il beneficiario), anche se non hanno partecipato al giudizio.
Questo principio è stabilito per il procedimento di interdizione e inabilitazione dall’art. 718 c.p.c. ed è ribadito dall’art. 720 c.p.c. per il giudizio di revoca.
Per l’amministrazione di sostegno l’art. 720-bis, comma 1, c.p.c. richiama soltanto l’art. 720 e non anche l’art. 718. Nonostante ciò, pare opportuno ritenere – data l’identità di ratio – la piena applicabilità del principio, tanto al procedimento di apertura quanto a quello di revoca dell’amministrazione. Altrimenti si finirebbe con l’imporre a tutti i soggetti indicati nell’art. 406 c.c. l’onere di essere parti nel giudizio avanti al giudice tutelare, al solo scopo di non vedersi preclusa la legittimazione al reclamo.
Per tutti i legittimati – compresi quelli che non sono intervenuti come parti – il termine per la proposizione dell’impugnazione decorre dalla notificazione del decreto, nelle forme ordinarie, a tutti coloro che hanno partecipato al giudizio (incluso l’amministratore provvisorio eventualmente nominato): questa decorrenza è prevista dall’art. 719 c.p.c., dichiarato applicabile dal comma 1 dell’art. 720-bis c.p.c..
E’ idonea a far decorrere il termine soltanto la notificazione del decreto effettuata a istanza di una delle parti e non anche la notificazione eseguita a cura del cancelliere.
Quanto all’entità del termine per proporre ricorso per cassazione, non essendovi alcuna previsione al riguardo da parte dell’art. 720-bis, occorre fare riferimento alle disposizioni generali degli artt. 325, 326 e 327 c.p.c. Il termine è dunque di sessanta giorni se vi è stata notificazione a istanza di parte, altrimenti è di sei mesi dal deposito in cancelleria del provvedimento.
In considerazione del mancato richiamo dell’art. 741 c.p.c. e dell’immediata esecutività del decreto disposta dall’art. 405 c.c., deve escludersi che la proposizione del reclamo o la pendenza del termine per proporlo sospendano l’efficacia del provvedimento del giudice tutelare.
Il reclamo si configura come un mezzo di gravame con effetto devolutivo, che per sua natura consente al giudice dell’impugnazione un complessivo riesame, sia di legittimità che di merito, del provvedimentoimpugnato.
Pertanto, in mancanza di una specifica disciplina, ilprocedimento di reclamo si svolge secondo le regole dettate per quello di primo grado.
Si può dunque ritenere che la corte d’appello possaesercitare gli stessi poteri ufficiosi che l’art. 407 c.c. attribuisce al giudice tutelare. Nel caso in cui riformi il decreto di rigetto della domanda di amministrazione di sostegno, spetta allo stesso giudice del reclamonominare l’amministratore.
Quanto ai rapporti tra la revoca dell’amministrazione di sostegno e l’impugnazione del decreto che la istituisce, si pongono questioni analoghe a quelle che sorgono in tema di interdizione e inabilitazione.
Può dirsi che l’istanza di revoca è inammissibile finché è pendente il giudizio di impugnazione o non è spirato il relativo termine.
Più discutibile è se i mutamenti nella situazione del beneficiario, intervenuti prima che sia decorso il termine per l’impugnazione, debbano necessariamente essere fatti valere con quest’ultima oppure possano anche essere oggetto di una successiva istanza di revoca.
Va infine osservato che la revoca dell’amministrazione di sostegno produce effetti ex nunc, ossia dalla pronuncia del relativo decreto, mentre alla riforma in appello o in cassazione del decreto istitutivo dell’amministrazione possono riconoscersi effetti ex tunc.
2. – L’impugnazione del decreto di designazione dell’amministratore di sostegno
Deve ritenersi reclamabile non solo il decreto chedispone l’amministrazione di sostegno, ma ogni altro decreto conclusivo del procedimento e, quindi, anche quello che dichiara irricevibile il ricorso (per nullità o incompetenza o difetto di legittimazione) ovvero lo rigetta nel merito.
E’ parimenti reclamabile il decreto che dispone la proroga, la revoca o la chiusura dell’amministrazione.
Non sono invece direttamente impugnabili, per mancanza del requisito della definitività, i decreti che dispongono – in via meramente interinale –provvedimenti urgenti o atti istruttori: la loro eventuale illegittimità o infondatezza si ripercuote sul provvedimento conclusivo e costituisce motivo di gravame avverso quest’ultimo.
Sono al contrario da considerarsi reclamabili, in quanto decidono definitivamente sul rispettivo oggetto, i decreti che vengano emessi dal giudice tutelare, dopo l’apertura dell’amministrazione di sostegno, nelle ipotesi di cui agli artt. 407 comma 4(modificazione o integrazione delle decisioni assunte con il decreto che dispone l’amministrazione), 410 comma 2 (inosservanza dei doveri dell’amministratore) e 411 comma 4 c.c. (estensione al beneficiario di effetti, limitazioni o decadenze previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato).
Una rilevante questione interpretativa è sorta in ordine ai limiti di impugnabilità del decreto didesignazione dell’amministratore di sostegno.
La questione riguarda non già il provvedimento che dispone l’apertura dell’amministrazione di sostegno (che pure l’art. 405 c.c. denomina “decreto di nomina dell’amministrazione di sostegno”), bensì il decretoche designa un determinato amministratore.
La giurisprudenza di legittimità ha escluso laricorribilità per cassazione del provvedimento emesso in sede di reclamo avverso il provvedimento di designazione dell’amministratore, rilevando come esso sia distinto, logicamente e tecnicamente, da quello che dispone l’amministrazione.
La Corte di Cassazione ha osservato che, se è vero che l’art. 720-bis c.p.c. prevede espressamente il ricorso per cassazione contro i decreti con cui la corte d’appello giudica sui reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno, tuttavia ragioni di ordine sistematico“inducono a ritenere che tale norma sia riferibile soltanto ai decreti di indiscutibile carattere decisorio, quali quelli che dispongono l’apertura o la chiusura dell’amministrazione, tali decreti essendo per contenuto assimilabili alle sentenze che vengano emesse in materia d’interdizione ed inabilitazione ai sensi dei precedenti artt. 712 e segg., richiamati dal menzionato art. 720-bis c.c., comma 1”.
I giudici di legittimità hanno così differenziato il regime processuale del decreto con cui il giudice tutelare dispone l’amministrazione di sostegno da quello del decreto con cui a tale incarico viene nominato un determinato soggetto.
Più in generale la previsione dell’art. 720-bis c.c. è stata ritenuta non operante allorché si verte in tema di provvedimenti a carattere gestorio, come quelli che nominano o sospendono o rimuovono l’amministratore.
E’ stata anche richiamata la giurisprudenza formatasi in materia di tutela circa la ricorribilità del decreto con cui il tribunale provveda in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare di revoca di un tutore. Al riguardo si è costantemente ritenuto che, essendo la revoca del tutore adottatanell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, essa integrerebbe un provvedimentoprivo del carattere della decisorietà, avendo naturameramente ordinatoria e amministrativa ed essendoinsuscettibile di passare in cosa giudicata in quanto sempre revocabile o modificabile per la sopravvenienza di nuovi elementi di valutazione.
3. – La competenza a decidere il reclamo avverso i decreti del giudice tutelare in materia di amministrazione di sostegno
Alla luce della limitazione individuata dalla Corte di Cassazione alla impugnabilità dei decreti in materia di amministrazione di sostegno, ci si chiede se essa riguardi soltanto il ricorso per cassazione ovveroinvesta anche la previsione del comma 2 dell’art. 720-bis c.p.c. che stabilisce la competenza della corte d’appello a decidere il reclamo.
Da una parte si può sostenere che tale disposizione si riferisca unicamente al decreto di cui all’art. 405 c.c. che definisce il procedimento sul ricorso ex artt. 404 e 407 c.c. Il legislatore avrebbe previsto unacompetenza eccezionale, in deroga ai normali criteri, soltanto per la particolare rilevanza del provvedimento che è destinato a incidere sulla capacità di agire e sui diritti fondamentali della persona.
Per i provvedimenti concernenti la normale gestione dell’amministrazione di sostegno e le autorizzazioni ai sensi degli artt. 411, 374 e 375 c.c. continuerebbe a operare l’ordinario criterio di competenza di cui all’art. 739 c.p.c., il quale individua il tribunale come organo chiamato a decidere sui reclami avverso i provvedimenti del giudice tutelare.
D’altra parte, valorizzando il tenore letterale della norma, si potrebbe affermare che l’art. 720-bis c.p.c.regola l’impugnazione di tutti i provvedimentirelativi all’amministrazione di sostegno (esclusi quelli urgenti o istruttori).
La giurisprudenza di merito è divisa.
La Corte di Cassazione ha evidenziato che ladisposizione di cui all’art. 720-bis c.p.c., “avente carattere speciale, prevale su quella generale risultante dall’art. 739 c.p.c. e art. 45 disp. att. c.c., che attribuiscono al tribunale in composizione collegiale la competenza in ordine ai reclami proposti contro i provvedimenti del giudice tutelare. La ratio di tale disciplina va ravvisata nella particolare natura del decreto in esame, che, pur essendo adottato all’esito di un procedimento camerale (cfr. Cass., Sez. lav., 28 ottobre 2003, n. 16223; 22 giugno 2002, n. 9146; 28 novembre 2001, n. 15071), non è assimilabile a quelli con cui il giudice tutelare provvede in ordine al compimento degli atti di amministrazione o di disposizione dei beni di soggetti incapaci, ma alle sentenze con cui viene dichiarata l’interdizione o l’inabilitazione; esso, infatti, in quanto attinente ad una controversia avente ad oggetto diritti soggettivi ostatus della persona, ha carattere decisorio ed è destinato ad acquistare efficacia di giudicato, sia purerebus sic stantibus, essendo revocabile e modificabile solo nel caso in cui vengano meno i relativi presupposti o si modifichi la situazione di fatto posta a fondamento della decisione”. La Corte ha aggiunto che “il richiamo dell’art. 739 contenuto nell’art. 720-bis, comma 2, va correttamente riferito alla disciplina del procedimento dinanzi alla corte d’appello, che si svolge nelle forme e con l’osservanza dei termini previsti per il reclamo avverso i provvedimenti in camera di consiglio: l’impossibilità di estendere alprocedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno l’intera disciplina dettata per l’impugnazione di tali provvedimenti trova d’altronde conferma nell’art. 739, u.c., il quale esclude l’ulteriore impugnabilità dei decreti pronunciati dal tribunale o dalla corte d’appello in sede di reclamo, salvo il caso in cui la legge disponga diversamente”.
Nell’ambito della stessa linea interpretativa si colloca anche un’altra pronuncia della Corte di Cassazione, la quale si segnala peraltro per la particolarità della fattispecie.
Era stato proposto reclamo alla corte d’appelloavverso il decreto del giudice tutelare di nomina di un nuovo amministratore di sostegno in sostituzione delprecedente. La corte d’appello aveva dichiaratoinammissibile il reclamo, affermando che il decreto impugnato – essendo un provvedimento di volontaria giurisdizione emesso dal giudice monocratico – non era suscettibile di impugnazione ai sensi dell’art. 720-bis c.p.c., ma era soggetto a reclamo dinanzi al tribunale in composizione collegiale. Tale statuizione veniva impugnata in cassazione.
I giudici di legittimità hanno dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando che la pronunciasull’inosservanza delle norme che regolano il processo ha necessariamente la medesima natura dell’atto giurisdizionale cui il processo stesso è preordinato e non può avere autonoma valenza di provvedimento decisorio, se di tale carattere l’atto giurisdizionale sia privo. Pertanto, quando il ricorrente lamenti la lesione di situazioni con rilievo esclusivamente processuale, la problematica processuale è strumentale ed è idonea a costituire oggetto di dibattito soltanto nella sede, e nei limiti, in cui sia aperta o possa essere riaperta la discussione nel merito.
Quando il provvedimento giurisdizionale sul rapporto sostanziale è privo di decisorietà, la declaratoria di improponibilità del gravame, pur integrando un pregiudizio definitivo, non assume autonoma valenza di provvedimento decisorio.
La Corte ha così ribadito che la rimozione o sostituzione da parte del giudice tutelare di un amministratore di sostegno integra un provvedimentodi carattere meramente ordinatorio e amministrativo, emanato in applicazione dell’art. 384 c.c. (richiamato dall’art. 411, comma 1, c.c.), mentre la facoltà di ricorso prevista dall’art. 720-bis c.p.c. va limitata ai decreti di carattere decisorio, come quelli che dispongono l’apertura e la chiusura dell’amministrazione.
4 – L’impugnabilità delle autorizzazioni del giudice tutelare
Le considerazioni sin qui svolte trovano applicazione, in particolare, per ciò che riguarda le autorizzazioni che il giudice tutelare è chiamato a dare durante il corso dell’amministrazione di sostegno.
Al riguardo va osservato come l’attività del giudice tutelare si esplichi attraverso una variegata tipologiadi atti, i quali si diversificano in relazione al loro maggiore o minore contenuto autoritativo.
In primo luogo vengono in considerazione i provvedimenti veri e propri, che da soli sono idonei a costituire, modificare o estinguere posizioni giuridiche. Si pensi al decreto di nomina dell’amministratore di sostegno oppure ai decreti con cui lo stesso viene esonerato o rimosso.
Si tratta di provvedimenti di volontaria giurisdizione, aventi la forma di decreto motivato, come tali inidonei ad acquistare efficacia di giudicato – né in senso formale, né in senso sostanziale – e sempre revocabili o modificabili dallo stesso giudice che li ha pronunciati.
Una seconda categoria di atti è costituita dalle autorizzazioni.
Queste non producono da sole effetti giuridici sostanziali, ma concorrono a produrli insieme alla volontà di altri soggetti, quali l’amministratore e il beneficiario nell’amministrazione di sostegno. Si pensi alle ipotesi previste dagli artt. 374 e seguenti, come richiamati dall’art. 411 c.c.
In ordine alle autorizzazioni è consolidata l’opinione secondo cui esse – pur essendo rese in forme giurisdizionali – non presentano i caratteri di una vera e propria decisione giurisdizionale, bensì hanno natura di provvedimento amministrativo.
Vi sono poi gli atti di gestione, quali l’approvazione del rendiconto (artt. 380 e 386, come richiamati dall’art. 411 c.c.). Mentre la mancanza dell’autorizzazione incide direttamente sulla sussistenza e sull’efficacia dei negozi e degli atti che ne costituiscono l’oggetto, il non ottenimento dell’approvazione produce soltanto sanzioni – quali la rimozione o il risarcimento dei danni – a carico di chi ha posto in essere le attività di gestione non approvate.
Un’ulteriore tipologia è infine costituita dagli atti di mera vigilanza. Con essi il giudice tutelare si limita a controllare, nell’interesse della persona bisognosa di protezione, il corretto operato di un altro soggetto e la sua conformità alle regole che lo disciplinano, senza peraltro disporre di un potere modificativo o direttamente sanzionatorio. Anche gli atti di vigilanza hanno natura non propriamente giurisdizionale, ma essenzialmente amministrativa.
Per ciò che riguarda l’impugnabilità delle autorizzazioni del giudice tutelare, facendo applicazione dell’orientamento interpretativo della giurisprudenza di legittimità, si deve escludere la ricorribilità per cassazione, dal momento che la previsione di cui all’art. 720-bis c.c. non opera con riguardo ai provvedimenti a carattere gestorio, ma solo con riguardo a quelli aventi contenuto decisorio.
Esse sono, dunque, soltanto reclamabili.
Quanto alla competenza a decidere il reclamo, sirinvia a quanto esposto nel paragrafo precedente.
5 – Il regime degli atti: le ipotesi di invalidità più ricorrenti
Il comma 2 dell’art. 412 c.c. prevedel’annullabilità degli atti “compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno”.
Viene così in considerazione l’ipotesi del compimento, senza intervento dell’amministratore, di uno degli atti per i quali il giudice tutelare abbia previsto l’incapacità o la semincapacità del beneficiario. Legittimati all’azione di annullamento sono in questo caso l’amministratore, il beneficiario ovvero i suoi eredi o aventi causa.
Un’altra ipotesi di annullabilità, contemplata dalcomma 1 del medesimo art. 412, ricorre quando sia stato l’amministratore a porre in essere atti in violazione di disposizioni di legge oppure in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice.
In questa previsione rientrano anche i casi nei quali l’amministratore abbia agito violando il dovere – impostogli dall’art. 410, comma 1 c.c. – di tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario ovvero trovandosi in conflitto di interessi col medesimo o ancora esorbitando dall’ambito degli atti per i quali nel decreto di nomina gli è stato attribuito potere di intervento. Legittimati ad agire per l’annullamento sono – oltre al beneficiario, ai suoi eredi o aventi causa – anche il pubblico ministero e lo stesso amministratore.
In proposito non appare convincente limitare il novero degli atti “compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di legge” alle sole violazionidelle regole procedimentali previste per le autorizzazioni che devono essere richieste dall’amministratore al pari del tutore (ossia degli artt. 374, 375 e 376 c.c., come richiamati dall’art. 411 c.c.).Con una siffatta interpretazione restrittiva, infatti, l’art. 412, comma 1, c.c. rimarrebbe privo di portata normativa autonoma rispetto a quanto già previsto dall’art. 377 c.c. e si limiterebbe a estendere al pubblico ministero la legittimazione all’azione di annullamento.
Quanto poi agli atti che l’amministratore di sostegno ponga in essere non soltanto in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice tutelare, ma addirittura in assenza di poteri o relativamente a un oggetto non previsto dall’incarico, per essi non deve parlarsi soltanto di annullabilità, ma di totale inefficacia dell’atto. Si pensialla vendita di un bene del beneficiario da parte di un amministratore cui non sia stato attribuito – né nel decreto di nomina, né in successivi provvedimenti –alcun potere in materia di alienazione.
Oltre alle previsioni di portata generale di cui all’art. 412 c.c., il comma 1 dell’art. 411 c.c.stabilisce l’applicabilità all’amministrazione di sostegno, “in quanto compatibili”, di alcune specifiche disposizioni dettate dal codice civile in materia di tutela dei minori.
Tra le norme richiamate rilevano in tema di annullabilità degli atti quelle che prescrivono la necessaria autorizzazione del giudice tutelare (art. 374) ovvero del tribunale (artt. 375 e 376) per il compimento da parte del tutore degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione ivi elencati, con l’espressa previsione dell’annullabilità degli stessi se compiuti senza la prescritta autorizzazione o in modo difforme da essa (art. 377).
L’art. 411 c.c. precisa che, nel caso diamministratore di sostegno, il provvedimento autorizzativo è emesso sempre – anche per gli atti menzionati negli artt. 375 e 376 c.c. – dal giudice tutelare. Quanto alla legittimazione all’azione di annullamento, essa va riconosciuta non solo all’amministratore, al beneficiario, ai suoi eredi o aventi causa, ma anche al pubblico ministero. Infatti, benché quest’ultimo non sia indicato nell’art. 377 c.c., la sua legittimazione risulta dalla previsione generale dell’art. 412, comma 1, che appunto contempla tutte le “violazioni di legge”.
Ovviamente l’autorizzazione è necessaria solo per quegli atti, elencati negli artt. 374, 375 e 376 c.c., che siano stati previsti nel decreto istitutivo dell’amministrazione come atti che devono essere compiuti dall’amministratore o con la sua assistenza. Altrimenti vale il principio, stabilito dall’art. 409 c.c., della generale e incondizionata capacità di agire del beneficiario.
L’art. 411 c.c. stabilisce l’applicabilità all’amministratore di sostegno anche dell’art. 378 c.c., relativo all’annullabilità degli atti con cui il tutore (o il protutore) si renda acquirente o locatario di beni del tutelato ovvero cessionario di crediti nei suoi confronti. Per queste ipotesi – in considerazione dell’evidente conflitto di interessi – è esclusa la legittimazione all’azione di annullamento del tutore o protutore (e quindi dell’amministratore di sostegno) che abbia compiuto l’atto.
L’art. 411 c.c. dichiara altresì applicabili gli artt. 596, 599 e 779 c.c., i quali sanciscono la nullità delle disposizioni testamentarie e delle donazioni effettuate – anche sotto nome d’interposta persona – dal tutelato in favore del tutore o del protutore, a meno che sia stato approvato il conto finale o sia estinta l’azione per il rendimento del conto medesimo.
L’art. 411, comma 3, prevede peraltro che “sono in ogni caso valide” le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero coniuge o persona stabilmente convivente. Si tratta di una norma analoga a quella contenuta nell’art. 596 c.c., il quale consente le disposizioni testamentarie in favore del tutore o del protutore che sia “ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore”.
Si deve ritenere che i divieti di cui agli artt. 378, 596, 599 e 779 c.c. siano comunque operanti, indipendentemente da una menzione dei medesimi nel decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno. Si tratta, infatti, di ipotesi non già di incapacità del beneficiario a disporre, bensì di incapacità dell’amministratore a ricevere le disposizioni patrimoniali, con la conseguenza che non è applicabile il principio di cui al comma 1 dell’art. 409 c.c. (della generale capacità di agire del beneficiario per tutti gli atti non espressamente indicati nel decreto di nomina dell’amministratore).
Per quanto poi riguarda l’art. 692 c.c., relativo al c.d. “fedecommesso assistenziale”, esso non pare utilizzabile nel caso dell’amministratore di sostegno.
La norma fa specifico ed esclusivo riferimento all’interdetto (anziché all’incapace legale) e ha carattere eccezionale rispetto al principio del divieto assoluto di sostituzione fedecommissaria, ossia di duplice disposizione testamentaria della stessa cosa a favore di due persone diverse, chiamate a succedere successivamente, con l’obbligo per il primo chiamato di conservare e restituire alla sua morte la cosa al secondo chiamato.
In assenza di un richiamo da parte delle norme che regolano l’amministrazione di sostegno, la natura eccezionale dell’art. 692 ne impedisce un’applicazione analogica. Del resto la disciplina in esso contenuta è strettamente correlata alla generale privazione della capacità di agire che caratterizza l’interdizione, tant’è vero che la sostituzione fedecommissaria rimane priva di effetto in caso di revoca dell’interdizione.
Infine l’ultimo comma dell’art. 411 c.c. contiene una disposizione di chiusura di ampia portata, prevedendo che il giudice tutelare – nel provvedimento di nomina dell’amministratore o con successivo decreto motivato – può stabilire che “determinati effetti, limitazioni o decadenze” previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno.
Pertanto, oltre alle norme espressamente richiamate dall’art. 411 c.c. e di cui si è detto, il giudice può rendere applicabili ulteriori norme di protezione. Viene quindi lasciata un’ampia possibilità di intervento giudiziale, in relazione alle specifiche caratteristiche della concreta fattispecie.
Nell’esercizio di questo potere, a seguito di apposito ricorso, il giudice deve perseguire la protezione del beneficiario, tenendo conto dell’interesse tutelato dalle norme che dichiara applicabili.
Le esigenze di certezza nei rapporti giuridici inducono tuttavia a ritenere che il provvedimento in discorso possa essere emesso solo con riferimento a categorie di atti ancora da compiere e non incida invece sul regime di atti già compiuti.
6 – L’annullamento degli atti
Il termine di prescrizione delle azioni di annullamento in materia di amministrazione di sostegno è di cinque anni. Il comma 3 dell’art. 412 c.c. prevede che esso decorra dal momento di cessazione dello stato di sottoposizione all’amministrazione stessa.
Questa disposizione è ispirata al massimo favore per il beneficiario e corrisponde a quanto previsto dall’art. 1442, comma 2, c.c. con riferimento alla cessazione dello stato di interdizione o di inabilitazione.
Tenendo conto delle ragioni ispiratrici della norma, si deve ritenere che il termine di prescrizione non decorra quando l’amministrazione di sostegno cessa non già perché siano venute meno le ragioni di protezione, bensì perché si rende necessaria una misura più intensa e si fa quindi luogo all’interdizione o all’inabilitazione.
L’eccezione di annullabilità è invece imprescrittibile, in applicazione del principio generale stabilito dal comma 4 dell’art. 1442 c.c.
Deve parimenti ammettersi anche nel caso dell’amministrazione di sostegno la convalida del negozio annullabile, nei limiti in cui essa è considerata ammissibile per il contratto concluso dall’incapace. Ai sensi dell’art. 1444 c.c., essa deve promanare dal contraente al quale spetta l’azione di annullamento e richiede la sussistenza dei presupposti e delle autorizzazioni prescritte per il valido compimento dell’atto.
A differenza di quanto accade nel caso dell’incapacità naturale, l’annullamento per incapacità legale di un contraente (per interdizione, inabilitazione ovvero sottoposizione ad amministrazione di sostegno) produce i suoi effetti anche in pregiudizio dei diritti acquistati dai terzi, ancorché a titolo oneroso e in buona fede, in forza di quanto previsto dall’art. 1445 c.c.
Ciò si giustifica in considerazione della possibilità per il terzo di venire a conoscenza dello stato di incapacità legale grazie alle apposite annotazioni nei registri dello stato civile e in quelli tenuti presso l’ufficio del giudice tutelare.
Peraltro la regola della generalizzata opponibilità dell’annullamento derivante da incapacità legale non opera nell’ipotesi di beni mobili di cui il terzo abbia acquistato in buona fede il possesso (art. 1153 c.c.), nonché nel caso di beni immobili o mobili registrati qualora la domanda di annullamento sia trascritta dopo cinque anni (ovvero tre per i mobili registrati) dalla data di trascrizione dell’atto impugnato e il terzo di buona fede abbia acquistato il proprio diritto in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda stessa (artt. 2652 n. 6 e 2690 n. 3 c.c.).
Da ultimo vanno menzionate le possibiliinterferenze tra il giudizio di annullamento dell’atto posto in essere dall’incapace legale e il corso del giudizio applicativo della misura di protezione.
Se, a seguito di impugnazione, il provvedimento che ha dichiarato l’interdizione o l’inabilitazione ovvero il decreto istitutivo dell’amministrazione di sostegno viene riformato, questa pronuncia fa venire meno anche il presupposto dell’annullamento dell’atto per incapacità legale. Va infatti ricordato che – a differenza della revoca della misura (la quale produce effetti ex nunc) – la riforma della sentenza o del decreto istitutivo fa venire meno con effetti ex tunc le limitazioni alla capacità del beneficiario. Gli attimedio tempore compiuti dall’interessato si presumono così validi, salva la dimostrazione di un’incapacità naturale ai sensi dell’art. 428 c.c.