Tribunale di trieste, Ufficio del Giudice Tutelare, N. R , Decreto di liquidazione ex art. 379 cod.civ .
Amministrazione di sostegno in favore di __________, periodo 1.4.2010 – 30.9.2011.
Il Giudice Tutelare,
Vista l’istanza di liquidazione del compenso per l’attività svolta da ********** in qualità di amministratore di sostegno di *********** e depositata in cancelleria il per l’attività prestata;
letta la relazione dalla quale emerge che l’amministratore di sostegno, nel periodo in questione, ha svolto:
attività di rilevanza patrimoniale diretta o indiretta:
– pagamento di spese condominiali, imposte ed utenze, nonché di spese straordinarie;
– comunicazioni di recesso in ordine a contratti di telefonia o di tv a pagamento, stipulati dalla beneficiaria malgrado il provvedimento di nomina di amministratore di sostegno;
– disinvestimento di titoli;
attività di assistenza personale:
– programmazione di vacanze;
– prospettazione dell’utilità di impieghi parziali;
– illustrazione della necessità di interventi di manutenzione sull’immobile;
attività di natura anche solo prevalentemente professionale:
– vendita di immobile, con tutti gli incombenti preparatori e successivi (stime, regolarizzazioni catastali, e quant’altro);
vista la risoluzione n. 2/E del 9.1.2012 della Direzione Centrale Normativa l’Agenzia delle Entrate, premesso che:
ancorché nel corso dei dibattiti parlamentari si fosse discusso dell’opportunità di introdurre una norma che consentisse la remunerazione dell’amministratore di sostegno – come accade in altri paesi, quali ad esempio l’Austria -, tuttavia il legislatore ha ritenuto di disciplinare il “compenso” dell’amministratore di sostegno unicamente facendo rinvio alla norma dell’art. 379 cod. civ.. Ciò ha fatto attraverso la norma di cui all’art. 411 co. 1 c.p.c. che determina rinvio formale alle norme in tema di tutela, “in quanto applicabili”;
quella in esame è norma dettata in tema di interdizione e che sistematicamente, ma anche concettualmente, è compatibile “per difetto” con il nuovo istituto, nel senso che la cura della persona è al centro dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, e non sono al margine; e quella del patrimonio è ad essa ancillare. La disposizione si apre con una previsione di carattere generale “L’ufficio tutelare è gratuito”, ed al secondo comma recita: “Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità da una o più persone stipendiate”;
la disposizione, come noto, fu oggetto del sindacato della Corte Costituzionale che era stata chiamata dal Tribunale di Lecce, a giudicare della questione di legittimità costituzionale dell’art. 379, secondo comma, cod. civ., “nella parte in cui non prevede a favore del tutore, che presta al suo pupillo assistenza personale particolarmente gravosa, l’indennità che la detta norma prevede invece a favore del tutore in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione del patrimonio”.
ritenne la Corte in quel contesto che l’”equa indennità”, che a norma dell’art. 379, secondo comma, il giudice tutelare può assegnare al tutore, “considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione”, non avesse natura retributiva, essendo diretta a compensare gli oneri e le spese non facilmente documentabili da cui è gravato il tutore a cagione dell’attività di amministrazione del patrimonio del pupillo, alla quale l’ufficio tutelare lo obbliga personalmente senza possibilità di nominare sostituti. La Corte illustrò anche come i “coadiuvanti” previsti nell’ultima parte della norma in esame non potessero essere qualificati “sostituti” nel senso dell’art. 1717, secondo comma, cod. civ., essendo invece semplici ausiliari dell’obbligato nel senso dell’art. 1228. Affermata la differenza tra un’assistenza personale (pur intensa ed eccedente i doveri di ufficio) e l’attività di amministrazione cui il tutore è personalmente obbligato, ne concluse “che pertanto la gravosità dell’attività di cura dell’incapace, derivante dall’avere il tutore prestato un’assistenza personale eccedente i doveri di ufficio non può essere paragonata alla gravosità, derivante dall’entità del patrimonio, dell’attività di amministrazione cui il tutore è personalmente obbligato, al fine di qualificare anche la prima, alla stregua dell’art. 3 Cost., come titolo per pretendere una indennità, la quale in realtà non avrebbe carattere di indennizzo, bensì di compenso per l’opera prestata, in contrasto col principio dell’art. 379, primo comma”;
la Corte stessa aveva comunque rammentato, nella citata sentenza, che uno dei principi di politica legislativa sui quali tutta la disciplina della materia si fonda è quello della gratuità dell’ufficio tutelare. Questa decisione, soprattutto perché calata in un contesto storico e giuridico che vedeva al centro della tutela il patrimonio del soggetto tutelato, e posizionava sullo sfondo la benevola cura per la persona, magari “eccedente i doveri di ufficio”, ma che giammai potrebbe essere “paragonata alla gravosità, derivante dall’entità del patrimonio”, sembra esaltare la peculiarità dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, in cui gli interessi della persona beneficiaria sono al centro dell’attività di sostegno, e gli aspetti soggettivi sono affatto preminenti rispetto a quelli patrimoniali, che potrebbero anche mancare del tutto. In questo caso, per esempio, giammai si potrebbe dubitare che l’attività di sostegno alla persona non siano indennizzabili;
anche la Suprema Corte di Cassazione (sent. n. 7355 del 1991) ha avuto modo di intervenire sull’istituto della indennità, prevista dal secondo comma dell’art. 379 cod. civ. in deroga alla regola della gratuità dell’ufficio tutelare ed in correlazione dell’entità del patrimonio e delle difficoltà dell’amministrazione. Si legge in motivazione (con riferimento ad un ricorso da parte di un avvocato che, tra l’altro, si era visto riconoscere un compenso – a suo dire – inadeguato) che “indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché apprezzabile e non meramente simbolico), e che, inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, così lasciando ampia discrezionalità”. La Corte mostra, quindi, di non avere dubbio alcuno nel qualificare – sempre ed in ogni caso – come indennità l’importo riconosciuto al tutore, indipendentemente dalle variabili costituite dall’entità del patrimonio e dalle difficoltà dell’amministrazione, le quali costituiranno al più criteri ai quali il giudice stesso deve richiamarsi nell’esercizio del suo potere discrezionale, ispirato all’equità. Giammai – a giudizio della Corte – potrebbe discutersi di “inidoneità retributiva della somma in concreto attribuita…” dal giudice tutelare; nel mentre rimarrebbe questione di merito la rispondenza ad equità della somma richiesta;
sulla questione della natura dell’indennità corrisposta all’amministratore di sostegno, già nota alla dottrina che ne ha trattato in modo approfondito, è intervenuta affatto recentemente l’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 2/E del 9.1.2012 della Direzione Centrale Normativa, dopo che erano stati resi pareri discordanti – in sede locale – su quesiti di singoli amministratori di sostegno, avvocati per professione. Il nucleo motivazionale della risoluzione appare piuttosto tautologico, nel senso di ritenere “che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque, sotto il profilo dell’applicazione della normativa tributaria di competenza della scrivente, un compenso per lo svolgimento di una attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico della imposte sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633”. A parere della Direzione Centrale Normativa questa conclusione non sarebbe “inficiata dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 1073 del 1988”, atteso che l’intervento della Corte costituzionale sarebbe “stato sollecitato nel corso di un giudizio di tutela di un interdetto affidata ad un parente, nella parte in cui non prevede a favore del tutore, che presta assistenza personale particolarmente gravosa, 6 l’indennità che detta norma prevede invece a favore del tutore in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione del patrimonio”, e che “l’ordinanza della Corte costituzionale è del 1988, mentre le norme in materia di amministrazione dei sostegno sono state introdotte con la legge n. 6 del 2004, e che l’art. 411 c.c. rinvia all’art. 379 c.c., in quanto compatibile, facendo con ciò presumere che l’applicazione di quest’ultimo comporta comunque una verifica di detto requisito da parte dell’interprete in relazione alla situazione concreta”;
questo ragionamento, a giudizio dello scrivente, sembra per un verso tradire la corretta lettura della decisione della Corte Costituzionale, ampiamente riportata in premessa, e la sua attualizzazione; e per altro non tiene in alcuna considerazione l’interpretazione che della normativa ha fornito il giudice di legittimità, del pari sopra richiamata; infine si libera in modo piuttosto disinvolto dall’analisi delle specificità dell’amministrazione di sostegno. In realtà, se le categorie hanno ancora un senso – e quelle giuridiche, sedimentate e confermate dalla giurisprudenza ai massimi livelli, dovrebbero conservarne uno – , un’indennità rimane tale e non perde la sua natura indifferentemente dal soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente, un avvocato o un imprenditore. E se il giudice che la liquida mostra di avere avuto riguardo, nella sua determinazione, ai criteri legali che governano l’uso di quella insostituibile clausola generale che è l’equità, non si vede quale spazio qualificatorio possa residuare – ex post e ab extra – a chi nulla conosca della procedura nell’ambito della quale è stata disimpegnata l’attività dell’amministratore di sostegno. Il provvedimento di liquidazione, infatti, spesso richiama in modo generico ed a volte implicito le attività e gli adempimenti disimpegnati dall’amministratore di sostegno nel periodo temporale oggetto di rendiconto, facendosi piuttosto rinvio alla relazione presentata dall’amministratore di sostegno, o agli stessi atti della procedura, in un contesto temporale anche piuttosto ampio. Ovviamente, qualora vengano disimpegnati compiti specificamente tipici della professione di appartenenza dell’amministratore di sostegno, questi rappresenteranno a tutti gli effetti prestazioni professionali, e come tali saranno liquidati, nel rispetto della legge.
Fatte queste premesse, ed ovviamente in mancanza di espresse previsioni da parte del legislatore tributario, vista l’attività concretamente disimpegnata, e sopra sinteticamente indicata, liquida per l’attività di rilevanza patrimoniale diretta o indiretta, e per quella di assistenza personale l’indennizzo di € 2500,00, senza I.V.A.;
quanto all’attività di natura anche solo prevalentemente professionale sopra indicata, visto l’art. 10, co. 12 della legge 12.11.2011, n. 183 comportante l’abrogazione delle tabelle forensi, e ritenuto che ai fini della liquidazione in via equitativa del compenso dovuto ad un professionista ex artt. 1709 e 2225, il giudice deve oggi far riferimento ai criteri della natura, quantità, qualità dell’attività svolta, nonché al risultato utile conseguito dal committente; stimato che l’attività prestata aveva ad oggetto un compendio immobiliare del valore di € 48.000,00 e che una liquidazione pari a poco più del 2% del valore corrisponda ad un importo di gran lunga contenuto in ragione di quanto concretamente effettuato, rispetto a quanto sarebbe stato corrisposto per una semplice mediazione; ciò premesso, a tale titolo l’importo di € 900,00, oltre I.V.A. e CPA.
Autorizza a prelevare direttamente il suddetto importo liquidato dal c.c. bancario/ libretto postale già in uso per la gestione dell’Amministrazione.
Si comunichi al PM e all’AdS.
Trieste, 26 gennaio 2012.
Il Giudice Tutelare
Dott. Arturo Picciotto